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L’ingresso nel Reclusorio

Dal momento in cui veniva verificata “nei modi sommari la censurabile condotta” del condannato, il Direttore della Casa di Correzione ne ordinava l’internamento; tale atto formale era preceduto da una lettera che preannunciava, al personale interno alla Casa, l’arrivo del recluso. Si tratta di una lettera redatta con caratteristiche standard, presente in ogni singolo fascicolo.

L’internamento vero e proprio avveniva solo dopo un esame dettagliato del soggetto, come si evince dal Regolamento. Tale esame era rigorosamente scandito in alcune fasi.

La prima fase consisteva nella stesura di «formale giudizio di condanna»: nel corso di un interrogatorio da parte dell’Ispettore politico si provvedeva a trascrivere all’interno del Registro una serie di informazioni relative al soggetto (le generalità del detenuto, la condotta che aveva dato luogo al provvedimento di reclusione). Dopodiché il soggetto veniva trasferito nella «Sala di osservazione»: qui ogni detenuto era sottoposto ad una accurata visita medica per attestare lo stato di buona salute o rilevare la presenza di eventuali malattie. Proprio in virtù di queste disposizioni si spiegano i provvedimenti di isolamento nei confronti dei reclusi affetti da malattie contagiose, onde evitare la diffusione di epidemie all’interno dell’edificio. Constatate le condizioni di salute, il Medico ordinava la sistemazione in due differenti sale, a seconda dei casi: una per i malati e l’altra in cui venivano accolti i reclusi sani che potevano essere introdotti nel Reclusorio. Per le recluse, doveva anche essere accertato l’eventuale stato di gravidanza, e in caso positivo veniva intensificata la sorveglianza (art. 5).

Terza fase: i reclusi venivano condotti davanti all’Ispettore Politico, il quale aveva il compito di sottoporli ad un interrogatorio (di cui si conserva il verbale nel fascicolo di ogni recluso) e di procedere alla lettura del regolamento del Reclusorio. Come da Regolamento, infatti, nessuno poteva essere ammesso «senza formale giudizio di condanna, nel quale dov[eva]no essere specificati i titoli per i quali v[eniva] rinchiuso, il tempo della sua reclusione, il suo nome e cognome, la sua età, il luogo della sua nascita e del suo domicilio, se [era] nubile, o maritato, con figli, o senza figli, mestiere da esso esercitato, sua condotta morale e politica, e se [fosse], ed a quali pregiudizi criminali soggetto»1.

Lo schema dell’interrogatorio era identico per ogni recluso. I criteri relativi alle domande erano definiti da precise norme codificate. Si tratta di uno schema che è stato trovato trascritto su un foglio, dove compare un elenco delle domande che doveva servire da canovaccio all’ufficiale interrogante e a colui che registrava l’interrogatorio.

L’interrogatorio rappresenta una fonte informativa importante, che ci propone un’ottica “dall’alto” dei reclusi (generalità, luogo di nascita, professione dichiarata, il curriculum dei crimini commessi). Le prime tre domande erano utili per individuare la categoria penale a cui apparteneva il soggetto. Questi doveva render noto il nome, la città di provenienza, il lavoro che svolgeva all’esterno, l’abitazione e il nome dei genitori. Si passava poi alle motivazioni alla base dell’internamento, anche in riferimento ad eventuali precedenti condanne. Infine, ognuno dei verbali si chiudeva con un ulteriore dato: il recluso doveva dichiarare se sapeva leggere e scrivere.

Nella documentazione presente in archivio non mancano deroghe alla standardizzazione dell’interrogatorio dove traspare la volontà, da parte di chi interroga, di portare il discorso su determinate questioni o, ancora, di investigarle più a fondo. Non infrequente, per esempio, la speciale attenzione rivolta a far emergere le «cattive frequentazioni» del corrigendo:

«quanto tempo è che conoscete i compagni coi quali foste qui tradotti»
«se abbia dei compagni, e quali siano»
«li altri compagni unitamente che vennero in questa Casa da quanto tempo li conosceva»
«se andava con compagni, e se questi lo invitavano a non obbedire vostra madre».

L’obiettivo dell’interrogatorio era, a tal proposito, duplice: si trattava prima di tutto di riuscire a far emergere i reati commessi dal recluso e in second’ordine di indagare su eventuali complici.

Completata la fase della prima investigazione, il “discolo” veniva inserito nel complesso meccanismo correzionale. Il suo iter proseguiva nel seguente modo:

  • affidamento al Custode dei detenuti- che non necessitavano del ricovero in infermeria- per essere introdotti nello Stabilimento;
  • pulizia e lavaggio, compiute dal Custode stesso o, nel caso di donne, dalla «Madre della Casa con l’aiuto di qualche inserviente»; confisca del vestiario (sottoposto a disinfezione e conservato in un locale apposito fino al giorno del rilascio);
  • consegna dell’«abito della Casa» (art. 6)2;
  • rasatura dei capelli, con eventuali eccezioni per le donne (art. 7)3;
  • consegna del libretto personale, all’interno del quale venivano annotate le generalità del soggetto, i beni che possedeva all’atto della reclusione, il lavoro da svolgere e le note disciplinari inflitte;
  • assegnazione dell’incarico lavorativo, destinato a diventare l’attività principale che ogni recluso doveva regolarmente e quotidianamente svolgere sotto la sorveglianza del «Capo travagliatore»;
  • assegnazione del posto letto (art. 8).

Continua: La distribuzione della giornata del recluso

Rossella Raimondo

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Note:

1ASBO, Bandi, proclami, avvisi, leggi, decreti, stampe governative, 121. 1 maggio-31 luglio 1822, Regolamento e discipline per l’amministrazione e polizia del Reclusorio pei Discoli, all. al nr. 257. Editto sul Reclusorio pei Discoli, e sul metodo di Procedura contro i Precettati (29 luglio 1822), art. 4.

2 Esso consiste, per gli uomini, in «una Camicia, giacchetta, pantaloni di tela per l’Estate, e di mezza lana per l’Inverno, un paio di Scarpe, ed un Fazzoletto da naso»; per le donne, in «una Camicia, un Corsetto e Sottana di tela per l’Estate, e di mezza lana per l’Inverno, un paio di Scarpe, ed oltre il Fazzoletto da naso anche quelli da spalle, e da notte» (art. 7).

3 Cf. ASPB, Casa provinciale di correzione, b. 59, fasc. Ordinanza della Pro-legazione nella quale dispone che vengano rasi i capelli a tutte quelle recluse che si rendano recidive, nr. prot. 132: in una lettera dell’8 febbraio 1839, la Direzione di Polizia interviene modificando la norma, che era quella di «sospendere […] la rasatura dei capelli alle recluse, al verificarsi in loro qualche causa specialmente di salute»; si ritenne allora «più regolare» che tale sospensione venisse «sanzionata dal Consesso Giudicante le relative pendenze, da cui partì il decreto della rasatura stessa». E tuttavia questa pratica doveva essere giudicata riprovevole dagli stessi esecutori: si ha notizia di un barbiere che vi rinunciò perché soggetto a insulti e «compromesso», e di un altro che proprio «per non volere prestarsi alla rasatura dei capelli alle Donne» si licenziò dall’incarico, salvo poi richiedere l’assunzione con le stesse mansioni (ibid., nr. prot. 765).