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LABORATORIO ESPRESSIVO DEL CENTRO DIURNO LOLLI (CSM AUSL) DI IMOLA

L’atelier prosegue l’attività del precedente laboratorio “Girasole”, nato tra il 1989 e il 1991 e spostato, nel 1996, in una palazzina fuori dall’Osservanza. Dal 2011 il laboratorio è posto all’interno del Centro diurno, nel padiglione 13 dell’Ospedale Vecchio della città, e si presenta al visitatore come un corridoio di media lunghezza scandito da tavoli da lavoro in condivisione. Che siano i dipinti e disegni appesi alla parete, o la particolare disponibilità della conduttrice, l’impressione è piacevole nonostante l’evidente limitatezza di spazi.

Nei confronti delle persone coinvolte il laboratorio si propone di “aiutare a riabilitare se stesse, rivendicando la loro libertà di scelta, espressione e parola”, e l’opera viene a porsi, di riflesso, come strumento identitario, individualizzante perché veicolo “di un tratto […] distintivo e unico della persona, della sua esperienza di vita e della sua soggettiva e intima visione del mondo”1.

Lontanissima appare dunque l’esperienza dell’atelier condotto a suo tempo da Germano Sartelli e influenzata dalle pretese diagnostiche della Psicopatologia dell’espressione. L’atelier attuale infatti è il frutto del percorso di deistituzionalizzazione psichiatrica e opera secondo una logica di inclusione sociale unitamente all’Associazione culturale van Gogh, nata in seno al laboratorio e per volontà degli stessi utenti alla fine degli anni novanta del secolo scorso.
Allo stesso tempo l’atelier imolese appare anche in linea, almeno in potenza, con gli obiettivi dei laboratori a dichiarata finalità artistica.
Piccole mostre vengono allestite con regolarità e un lavoro mirato e sistematico di archiviazione, selezione delle opere e promozione del laboratorio è attualmente in programma. L’approdo a un linguaggio visivo individuale viene inoltre ampiamente incoraggiato: si evita di trasmettere agli utenti un ideale artistico epurato e conciliatorio, non vengono svolte censure sulle produzioni che esprimono contenuti più oscuri e impellenti e la possibilità di una sperimentazione artistica – nei limiti delle risorse e degli spazi concessi – è contemplata.

Riviste e libri d’arte sono inoltre a disposizione degli utenti in cerca di ispirazione o inibiti dal foglio bianco. Non a caso sono numerose nel laboratorio le copie di opere celebri della storia dell’arte ma quello che in passato rappresentava un metodo diffuso, anche nei laboratori specializzati come la “Scuola d’Arte” del Roncati, di apprendimento della tecnica artistica, sembra qui, a vedere dagli esiti, lo spunto per un esercizio di libera invenzione gradito dalla maggior parte degli utenti. Molteplici versioni della Monna Lisa di Leonardo (assieme ad altrettanti disegni e immagini colorate di robot di fantasia) compaiono nell’opera di D.R., un utente “storico” del laboratorio, che per anni si è concentrato su un personalissimo motivo realizzato in innumerevoli varianti. Si tratta di disegni dove le forme si avviluppano, si fondono, e che gli occhi e le bocche tratteggiate negli interstizi, tra le sinuosità del flusso grafico, trasformano in creature mutanti o insoliti fregi antropomorfi.

Oltre a D.R., diversi sono gli autori rappresentativi dell’atelier, anche esterni come Sandra e Carmine, per esempio, due membri dell’associazione van Gogh che con la loro presenza e i loro raffinati lavori di carta fatta a mano, macerata, in calcografia, confermano la vocazione all’apertura e alla condivisione che ha sempre contraddistinto il laboratorio.

Infine Mattia Barzagli e Annamaria Timisani. Il primo dissemina fogli e fogli di una scrittura cifrata di segni rapidi che alimentano una tessitura monocroma rada o fitta, interrotta da parole di senso compiuto e da macchie di colore diverso. Annamaria dà forma a un universo dalle tinte vivaci in cui ricorrono figure femminili, architetture, insolite barche-abitazione, oppure realizza composizioni grafiche in cui compare un singolo motivo reiterato: vele, bandierine, soli, cuori fioriti.

C’è infine spazio nel laboratorio anche per una produzione di tipo artigianale, concepita come nettamente distinta da quella di libera espressione e destinata principalmente alla vendita. Può trattarsi di collane, tazze o scatole portagioie sulle quali gli autori dell’atelier, a evidente scopo decorativo, ripropongono i motivi più caratteristici del proprio linguaggio.

Sara Ugolini

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NOTE

1 Federica G., in «E pas e temp», n. 2, anno XVI, settembre-ottobre 2013, p. 12.