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Gian Paolo G.

Tra i personaggi che hanno preso parte alle attività della cosiddetta “Scuola d’arte” organizzata all’interno dell’O.P. Roncati di Bologna, Gian Paolo G. occupa una posizione del tutto particolare.
Le esperienze artistiche emerse in tale ambito sono riconducibili al panorama dell’arte irregolare, i cui artefici sono mossi da una creatività spontanea, svincolata dalle varie tendenze dominanti nell’arte “ufficiale” e, essendo estranei agli ambienti culturali riconosciuti, ignorano spesso il valore artistico delle proprie produzioni.

Non di rado, inoltre, i protagonisti dell’arte irregolare non hanno seguito le tappe di una formazione tradizionale o accademica, ma sono autodidatti; in questo senso Gian Paolo G. si differenzia dagli altri nomi presenti in mostra perché, come ricorda Gildo Monaco, che tra gli anni settanta e ottanta è stato il conduttore dell’atelier presente nella struttura psichiatrica bolognese, Gian Paolo si era diplomato all’Istituto Statale d’Arte e, in seguito, si era iscritto all’Accademia di Belle Arti, dove aveva frequentato il corso di scultura tenuto da Quinto Ghermandi e le lezioni di pittura sotto la guida di Concetto Pozzati.
E’ chiaro, quindi, che era tutt’altro che avulso dalle tematiche toccate dai movimenti artistici a lui contemporanei e, come risulterà evidente dall’osservazione dei suoi lavori, aveva anche una buona conoscenza degli stili dei secoli passati.

E’ opportuno ricordare che il concetto di arte irregolare costituisce una sorta di evoluzione e di riesame critico, aggiornati sulle frequenze contemporanee, della nozione di Art Brut elaborata da Jean Dubuffet a partire dagli anni quaranta del secolo scorso.
L’artista francese fu infatti il primo a riconoscere l’esistenza di un valore formale nella produzione creativa di alcuni individui che vivevano in condizioni marginali e, spesso, erano affetti da disagi psichici. Tuttavia gli artisti con un bagaglio culturale canonico non erano ammessi nelle fila dell’Art Brut, perciò una serie di casi “borderline” furono inseriti nella cosiddetta Collection Annexe: una raccolta espressamente designata a riunire lavori che, benché non caratterizzati da una assoluta distanza nei confronti della cultura ufficiale, erano comunque contraddistinti da scelte creative indipendenti rispetto alle tendenze in voga nel contesto artistico istituzionale.

Sia la storia personale che le opere di Gian Paolo G. sembrano ricadere in questo genere di dinamica, in cui i segni distintivi di una creatività marginale incontenibile e bizzarra si alternano a dettagli che svelano una preparazione regolare.

Tale contrasto si individua fin dalla scelta dei materiali utilizzati dall’artista, che, alle volte, richiamando alla mente una pratica assai diffusa tra i nomi storici dell’Art Brut, disegna su supporti insoliti e “di fortuna” come la carta millimetrata e altre volte, dimostrando di non essere in fondo così estraneo agli ambienti artistici, affida le sue creazioni a pesanti fogli per incisione.

Tra le composizioni meno recenti, eseguite intorno al 1973, compaiono le tracce esplicite della sua familiarità con la storia dell’arte e della sua formazione culturale in generale: i bozzetti sono infatti accompagnati da liste ordinate e coerenti di nomi di scrittori, attori, cantanti e artisti di epoche disparate, le liste inoltre si ripetono in fogli differenti con delle varianti minime, mostrando una tendenza alla reiterazione tipica di molti artisti irregolari, così come la pratica di affiancare l’uso del tratto grafico e la parola scritta, che si ritrova anche in alcune creazioni elaborate in anni successivi. Credo plausibile ipotizzare che per Gian Paolo e del resto anche per altri protagonisti dell’arte marginale, l’introduzione della parola venga in soccorso ogniqualvolta la rappresentazione visiva non sia ritenuta in grado di descrivere a pieno la portata dei propri impulsi interiori; quando cioè la necessità di incanalare in un prodotto materiale e concreto gli istinti più profondi, che in questo caso specifico riguardano sentimenti complessi quale l’amore e le aspirazioni personali, è talmente travolgente da rendere indispensabile l’impiego di molteplici linguaggi espressivi.

Rimanendo nell’ambito della scrittura, vorrei focalizzare l’attenzione su un disegno datato 8 novembre 1973, dove, sotto la figura di un uomo ritratto di profilo mentre fuma una sigaretta, compare la scritta FARO’ LO SCULTORE: prova inequivocabile che G. non era per niente ignaro del potenziale valore artistico delle sue composizioni e, a differenza di quanto avviene di sovente nell’ambito dell’arte irregolare, non può certo essere definito un creatore inconsapevole.

Concentrandoci sull’evoluzione stilistica di questo corpus di lavori è evidente che la ricerca dell’artista diviene sempre più affine a soluzioni antifigurative: le immagini dei corpi sono via via più stilizzate fino a cedere il passo a miscugli di linee, talvolta estremamente nitide e ordinate, al limite del rigore geometrico, mentre in altri occasioni intrecciate in un fitto reticolo multicolore, in cui l’applicazione di diversi materiali (dal crayon all’acquarello, dalla china alla tempera) crea trasparenze e sovrapposizioni stravaganti, che sembrano quasi voler comunicare al fruitore il sentimento di urgenza nel quale egli compie l’atto creativo.

Gian Paolo, forse al corrente delle sperimentazioni che affollavano lo scenario dell’arte negli anni settanta, non disdegna anche un approccio performativo in fase di esecuzione: indicativi in questo senso sono sia un lavoro in cui compaiono delle grosse linee sinuose, ottenute stendendo una generosa quantità di colore con l’ausilio, decisamente insolito, di un pettine per capelli, sia alcuni fogli, datati 1981, dove si riconosce chiaramente l’impronta delle scarpe, che l’artista aveva intinto in una vernice rosa sgargiante prima di camminare sulla carta.

Marta Cannoni