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Giovanni P.

Abbiamo poche notizie di Giovanni P., un ragazzo che per alcuni anni frequenta l’atelier di pittura presso l’Ospedale Psichiatrico Roncati di Bologna, prima sotto la supervisione del maestro Oliviero Bovi e successivamente, dal 1980, con Gildo Monaco. La produzione di disegni di P. è ampia e complessa. L’Istituzione G.F. Minguzzi ha raccolto novantuno opere, recanti firma e data, realizzate su fogli di carta di medio-piccolo formato con matite colorate e penne a sfera. Tutto il materiale è grafico e realizzato con un segno fermo e molto preciso, mentre forme e colori sono distribuiti in maniera omogenea nello spazio del foglio.

Protagonista è l’occhio, soggetto sul quale l’autore si sofferma realizzandone molteplici varianti e aprendosi ad altrettante possibilità d’interpretazione. L’occhio compare come elemento riconoscibile e autonomo, come un organo ciclopico, oppure subisce mutazioni insolite, e ancora, in altri casi, si dota di lunghi tentacoli vibratili simili a muscoli, mescolandosi a forme geometriche e formando labirinti, mappature, costellazioni di astri, strutture ben delineate e sempre diverse.

Simile morfologia, unita all’evidente vitalismo cromatico, ricorda il “biomorfismo” di Kandinskij; anche in Giovanni P. il mondo del “vetrino” biologico è abilmente simulato, quasi a rendere evidenti i micromovimenti della vita cellulare.
Stessa ossessione per l’occhio ha caratterizzato la produzione di alcuni artisti simbolisti, uno su tutti Odilon Redon, che nella famosa opera “L’occhio come pallone bizzarro si dirige verso l’infinito” ci presenta un occhio gigantesco e onnisciente, metafora del creatore, della precarietà umana e del fallimento della speranza. Differente è l’approccio stilistico dell’artista, la cui predilezione per tinte vivaci smentisce l’ipotesi di una lettura angosciante, trasmettendo piuttosto una certa serenità. Victor Hugo, tra i padri del fantastico letterario, in uno dei suoi disegni ci mostra un “Pianeta – Occhio” (1854) dove un bulbo oculare galleggia al centro di un’ombra; anche qui troviamo una scura e inquietante visione persecutoria, bypassata dalle fantasiose tavole di Giovanni P., dalle quali emergono volti, fisionomie, personaggi quasi mai minacciosi.

Alcuni suoi disegni ricordano riprese aeree di territori geografici visti attraverso le lenti di un caleidoscopio. La figura del cerchio è quasi sempre presente nelle composizioni geometriche, i bulbi oculari rappresentati vanno probabilmente ad esprimere una visione universale, infatti, se vedere corrisponde a comprendere l’ambiente circostante e in qualche modo a controllarlo, l’occhio in questo caso va a sintetizzare l’intera persona in rapporto con il mondo. Queste raffigurazioni assumono quindi il valore di sineddoche, dove lo sguardo dell’artista, nascondendosi dietro a una visibilità estrema, si rivolge all’esterno.

 

Chiara Mazzoli