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La scuola-asilo per bambini rachitici dell’Istituto Ortopedico Rizzoli

Il 28 giugno 1896 sul colle di San Michele in Bosco, alla presenza del re Umberto I e della regina Margherita, veniva inaugurato ufficialmente l’Istituto Ortopedico Rizzoli. Al di là delle brevissime esperienze degli istituti di Torino (1823), di Napoli (1838) e di Firenze (1840), che si conclusero con la morte dei rispettivi fondatori, era la prima struttura del genere in Italia. Avrebbe radunato presto numerosissimi clienti da tutta Italia, attirati dalla fastosità dell’edificio e dalla bella posizione sulla collina, e in pochi anni sarebbe divenuta uno dei centri ortopedici più conosciuti e attrezzati nel mondo.
Erano raggiunti gli intenti del suo fondatore. In un periodo in cui l’ortopedia non era ancora riconosciuta dalla scienza come branca autonoma e specialistica della chirurgia – poco studiata nelle facoltà di medicina (rari, infatti, erano i corsi di materia ortopedica fino all’istituzionalizzazione ufficiale della cattedra avvenuta nel 1885) e praticata per lo più empiricamente dagli “acconciaossi” – Francesco Rizzoli, dal 1849 professore di Clinica chirurgica all’Università di Bologna e dal 1865 Primario Chirurgo dell’Ospedale Maggiore, intuiva la necessità di costituire, in una struttura diversa dagli ospedali generici, un istituto che fosse specializzato nel trattamento e nella cura chirurgica delle deformità e delle lesioni degli arti. Pochi mesi prima della morte (avvenuta il 24 maggio 1880) lasciava il suo patrimonio in donazione alla Provincia di Bologna con la finalità di fondare, nel complesso monastico di San Michele in Bosco, dal 1859 proprietà del Demanio e villa reale, uno “stabilimento ortopedico provinciale” di cui sarebbe stato il direttore. Il “chirurgo d’Italia” (1), uno tra i più abili nelle tecniche operatorie dello scheletro e uno dei primi a utilizzare la narcosi con etere nelle operazioni (che insieme agli studi pionieristici sulla medicatura antisettica del medico britannico Joseph Lister [1867] fu la condizione dell’attuabilità pratica e dei primi successi dell’ortopedia) (2), lasciava scritto nel suo testamento la volontà di creare una struttura che non fosse un luogo di ricovero e di beneficienza per “storpi” ma un centro medico rivoluzionario che facesse onore alla nazione come simbolo del bene dell’umanità, del progresso della scienza e del patrio decoro.
Nella seduta dell’8 maggio 1882, la Deputazione Provinciale ne deliberava lo statuto stabilendone i compiti e le finalità: “Questo Istituto ha per fine l’Ortopedia, non solo nel senso letterario della parola ossia l’arte di raddrizzare i fanciulli, ma eziandio in quello di impedire e correggere in qualunque età con mezzi meccanici o chirurgici le esterne deviazioni della forma normale, alle quali può andare soggetto l’umano organismo, e specialmente l’apparato locomotore, osseo e muscolare; di provvedere cioè alle diverse forme di anomalie congenite ed acquisite che dai detti mezzi possono trarre guarigione o miglioramento. L’Istituto quindi accoglie gli individui affetti da malattie tendenti a produrre o che abbiano prodotto deformità suscettibili d’essere secondo i casi prevenute, guarite o migliorate mediante mezzi meccanici detti ortopedici o chirurgici scientificamente applicati, coadiuvati da mezzi igienici e profilattici speciali, in particolare di ginnastica e di idroterapia”.
Si dovette però aspettare tredici anni prima che l’istituto fosse ultimato a causa di ritardi per questioni amministrative e finanziarie, dovute soprattutto all’opposizione dei bolognesi, che male vedevano l’istituzione di un ospedale per “zoppi e storpi” sulla bella collina, e alla difficoltà pratica di trasformare un convento in struttura ospedaliera rispettando la clausola voluta da Rizzoli di mantenere conservato e di restaurare il patrimonio monumentale dell’antico convento dei padri olivetani. La grande spesa per la restaurazione di un edificio che in seguito alle numerose trasformazioni e occupazioni era così in rovina che “restaurare poco differiva da ricostruire” (3), avrebbe impedito la realizzazione dell’iniziale progetto, più facilmente attuabile a livello edilizio, che prevedeva la costruzione di padiglioni ospedalieri esterni al monastero. Nel 1895 il Rizzoli sorgeva così tutto interno al complesso monastico (tranne un piccolo “padiglione per contagiosi”) nella fastosità del suo patrimonio artistico pur nell’ambito di struttura ospedaliera tecnicamente e funzionalmente all’avanguardia.
L’avvocato Giuseppe Bacchelli, dal 1888 Presidente della Deputazione Provinciale, maggiore promotore del nuovo progetto e protagonista della lunga battaglia contro l’opinione pubblica, a lavori conclusi, descriveva in una dettagliata relazione i tre piani dell’ospedale, i suoi locali, strutture e apparecchiature, tutti rispondenti a criteri estetici e moderni (gli impianti di illuminazione elettrica, di riscaldamento, di sterilizzazione e di comunicazione interna, le cucine, i bagni, la lavanderia, i refettori, le infermerie, i gabinetti scientifici, la sala operatoria, la sala da ginnastica e l’officina ortopedica). La capienza era di 150 letti suddivisi in reparti separati per bambini, donne, uomini, pazienti poveri assistiti gratuitamente e pazienti paganti – sebbene tutto fosse uguale nella pulizia e nella cura “perché la pulizia e la cura non ammettono differenza né gradazione fra poveri e ricchi” – cui si aggiungeva un reparto ambulatoriale per le persone non bisognose di ricovero. Oltre agli architetti Edoardo Collamarini e Alfonso Rubbiani, avevano affiancato Bacchelli nella stesura del progetto l’ingegnere sanitario Giovanni Giachi e il chirurgo Pietro Panzeri, i quali per lo scopo avevano visitato le principali cliniche europee in Germania, in Francia e in Svizzera. Fu affidata proprio a Panzeri la prima direzione dell’istituto.
Titolare di uno dei primi corsi liberi di materia ortopedica (a partire dal 1884 all’Università di Pavia) e della prima cattedra di ortopedia a Bologna (seconda in Italia dopo quella di Napoli), creata appositamente per lui nell’ambito di una convenzione tra l’università e il neonato istituto (1897), Panzeri fu, insieme a Rizzoli, uno dei pionieri dell’ortopedia in Italia, fornendole quelle basi di fisiopatologia che le conferirono dignità scientifica e partecipando attivamente alla sua istituzionalizzazione. Si deve a Panzeri, infatti, la fondazione della prima rivista della specialità, l’Archivio di Ortopedia (1884), e la creazione della Società Italiana di Ortopedia (1891).
Laureatosi in medicina e chirurgia all’Università di Pavia nel 1872, dopo un periodo di studi all’estero grazie a una borsa di perfezionamento che gli permise di visitare i centri clinici e ospedalieri di Vienna, Losanna, Lione, Londra e Berlino, il giovane chirurgo iniziava la sua attività di chirurgo presso l’ambulatorio ortopedico, “la prima ambulanza ortopedica italiana” (4), annesso alla Scuola-asilo per bambini rachitici, fondata a Milano nel 1874 dall’igienista Gaetano Pini grazie all’appoggio amministrativo ed economico di un gruppo di signore dei ceti abbienti della città.

“Scontorti nella persona, gobbi, stronchi, sciancati”, “deboli, malaticci, derisi”, i piccoli rachitici “non scendono clamorosi per le vie, non frequentano le scuole, fuggono il chiasso e la folla e rimangono accovacciati, tristi, sofferenti nei tuguri del povero, nelle portinerie, nelle officine”, “in mezzo al lezzo e al sudiciume” (5). Scriveva così Pini sulle pagine della Rivista della beneficenza pubblica e degli Istituti di previdenza e degli Annali universali di medicina, per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e dello sguardo scientifico verso il fenomeno, sempre più diffuso nei malsani rioni popolari delle principali città italiane di fine Ottocento, del rachitismo infantile, di cui si iniziava a trovare l’origine nella malnutrizione e nelle cattive condizioni igieniche di “ambienti poco areati, umidi e oscuri” che ostacolavano i processi di mineralizzazione causando un “rammollimento” delle ossa che conduceva a fratture e deformità, ma di cui, quindi, si poteva pensare a una curabilità.
La scuola milanese nasceva sull’esempio di una precedente esperienza – di cui Pini voleva utilizzare l’idea “fecondandola con concetti scientifici” (6) – di una piccola scuola-asilo istituita nel 1872 a Torino, per iniziativa dell’allora Assessore alla Pubblica Istruzione, il conte Ricardi Di Netro con l’aiuto del medico Antonio Gamba, con lo scopo di assicurare un minimo di istruzione elementare ai piccoli rachitici (il più delle volte esclusi dalle scuole pubbliche) insieme a un’assistenza medica generica, e a partire dalla necessità di dare continuità anche nei mesi invernali agli effetti salutari dell’igiene, di una buona alimentazione e della ginnastica ottenuti negli Ospizi marini per rachitici e scrofolosi (7). Era un luogo dove, per alcune ore del giorno, “alle cure intelligenti di un medico, alla ginnastica ben ordinata, alle idroterapie, alla somministrazione del ferro e dell’olio di fegato di merluzzo, si aggiungesse una scuola per lo insegnamento di quelle discipline e di quelle arti alle quali più tardi, secondo le loro forze e le naturali inclinazioni, potrebbero dedicarsi questi derelitti che un giorno le severe leggi di Licurgo avrebbero condannato a morte”. (8)
Nel giro di pochi anni la piccola scuola di Pini, una volta riconosciuta giuridicamente dal governo italiano (1881), e trasferitasi in Via Calimero (l’attuale Via G. Pini) in una nuova e più ampia struttura, diventava il Pio Istituto per Rachitici, vero e proprio centro ospedaliero specialistico dotato di un gabinetto scientifico, di infermerie e di locali per il ricovero notturno e per i trattamenti chirurgici.
Quando Panzeri assumeva la direzione dell’Istituto Ortopedico Rizzoli era da nove anni succeduto a Pini nella direzione dell’Istituto milanese che vantava il successo di 2000 bambini curati e di una media di 350 operazioni di chirurgia ortopedica all’anno (9). Specializzatosi, quindi, nel trattamento delle deformità dell’infanzia e pioniere delle prime osteotomie compiute sui rachitici diresse subito l’attenzione ai piccoli ospiti del Rizzoli, che costituivano la maggioranza dei primi pazienti. Si deve sicuramente a lui l’idea di riproporre a Bologna l’esperienza della scuola-asilo milanese, la cui struttura non risulta nell’iniziale progetto dell’Istituto. Sulle pagine del neonato Archivio di Ortopedia Panzeri sottolineava l’originalità italiana e l’importanza di questa istituzione, che, dopo gli ottimi risultati ottenuti a Milano, in pochi anni era sorta in diverse altre città italiane (Genova, Mantova, Cremona, Verona, Palermo, Bergamo, Padova, Venezia), in quanto “mezzo nuovo di ottenere insieme alla educazione morale la redenzione fisica dei poveri maltrattati dalla rachitide; un preziosissimo mezzo di assistenza che […] permette di sorvegliare e di accompagnare durante tutto il giorno le cure ortopediche bene spesso lunghe e pazienti. La Scuola è la più importante sezione, o quantomeno il complemento necessario, di un istituto ortopedico. Essa sta tra l’ambulatorio e l’infermeria, perché accoglie i malati che sarebbero insufficientemente curati colla sola visita ambulatoriale e che d’altra parte non presentano le condizioni necessarie per reclamare il ricovero nelle infermerie. […] Ed è veramente la scuola il lato caratteristico delle istituzioni ortopediche italiane; perché questa della Scuola per rachitici è un’idea tutta italiana, è una gloria invidiata della patria nostra” (1887).
Nei locali del pianterreno dedicati alle cure ambulatoriali, sulla sinistra del grande cortile interno e accanto a una sala per la ginnastica medica, gli ambienti che nel progetto del 1882 erano destinati alle cucine “furono cambiati in scuole, non perché si pensasse proprio di sottoporre alle fatiche dello studio le menti di quei poveri bambini, deboli, ammalati, storpiati, ma perché nelle ore di riposo, e quando non si può stare all’aperto, avessero luogo di stare insieme, e potessero, più per isvago che per coercizione mentale, apprendere qualche elementare e utile cognizione” (10). Oltre all’aula per le lezioni di una capienza di novanta bambini, fornita di banchi a due posti e di “poltroncine in legno non imbottito, con spalliera articolata, bracciuoli e sostegni mobili per gli arti inferiori, che permettono una eccellente posizione di riposo semi-coricata”, vi erano “una seconda sala di riposo e di ricreazione, un gabinetto di massaggio dove si poterono curare 6 bambini contemporaneamente e dove si fecero le misurazioni e gli esami obiettivi, una sala da bagno con cinque tine di marmo, un ampio refettorio tutto mobiliato in ferro, lavabi e latrine […] con separazione dei maschi dalle femmine” e “l’infermeria per ricevere i bambini che abbisognarono di atti operativi”. Era possibile accedere a questi locali direttamente dall’ingresso principale così da evitare la promiscuità con i degenti. La scuola-asilo nasceva infatti come una sorta di Day Hospital dove i bambini venivano accolti per le ore necessarie alla ginnastica medica e all’utilizzo di particolari apparecchi ortopedici. Era aperta undici mesi l’anno poiché ogni agosto i piccoli rachitici soggiornavano presso gli Ospizi marini. L’Istituto forniva un servizio di trasporto attraverso un “omnibus” che dalle otto di mattina alle cinque del pomeriggio faceva sei corse, con partenza da Piazza Malpighi e con sosta in Piazza Vittorio Emanuele (l’attuale Piazza Maggiore) e in Via Aldrovandi, consentendo ai bambini di raggiungere San Michele in Bosco e di tornare dalle famiglie nel pomeriggio.
Come raccontano in una relazione i due medici responsabili della scuola, Carlo Pantaleoni e Giuseppe Monti (assistente-chirurgo di Panzeri), erano ammessi i bambini dai tre anni di età, periodo in cui il rachitismo era abbastanza sviluppato da poterlo riconoscere e le ossa erano ancora malleabili da consentire interventi ortopedici non chirurgici, agli otto, periodo in cui le deformazioni ossee erano permanenti (si trattava soprattutto di casi di valgismo delle ginocchia e dei piedi, di arcuature delle tibie, di scoliosi e di piedi piatti) e si poteva intervenire solo con cure operative “esterne” – osteoclasie (raddrizzamenti manuali forzati), osteotomie (veri e propri interventi chirurgici) e successive gessature – che rendevano necessario il ricovero dai 9 ai 97 giorni nelle infermerie della “sezione fanciulli” situate al primo piano dell’istituto. La selezione dei bambini avveniva attraverso un servizio ambulatoriale di consultazioni bisettimanali in alcuni locali dell’Ospedale Maggiore adibiti allo scopo.
Le osservazioni dei due medici rivelavano che i piccoli pazienti erano tutti bambini appartenenti alle classi meno abbienti che vivevano nei quartieri più bui e malsani della città. Presentavano delle “affezioni” all’apparato gastro-intestinale che impedivano l’assimilazione del calcio e del fosforo e nei primissimi anni di vita erano stati male allattati o avevano ricevuto un’alimentazione deficiente. “Non meravigli l’affermazione che la buona igiene serve di cura al rachitismo meglio delle cure mediche e chirurgiche” – scrivevano Monti e Pantaleoni – e ambienti luminosi e ben areati, lunghi soggiorni all’aria aperta, “settimanali lavande e saponate”, insieme all’obbligo della “tosatura mensile” e dell’utilizzo di grembiuli forniti dall’istituto, e la felice ubicazione in un “punto elevato sul livello del mare”, nella “salubrità perfetta dell’aria” e nella “ricchezza di vegetazione circostante” rendevano l’Istituto Rizzoli un luogo ideale per la cura del rachitismo. Le terapie igieniche e mediche, che consistevano quest’ultime in un’alimentazione ricca di sostanze azotate e nella somministrazione di calcio, di fosforo e di olio di fegato di merluzzo (ricco di vitamina D), erano finalizzate ad allontanare il processo di rammollimento delle ossa rendendole “più cariche di sali calcarei e quindi più dure e meno atte a cedere in modo anormale”. I bambini ricevano massaggi quotidiani associati a esercizi di ginnastica attivi e passivi che consentivano il rinvigorimento dei muscoli, “una specie di modellazione della parte verso la linea fisiologica e un invito ad atteggiamento e funzione corretta”. I due medici avevano istruito per lo scopo quattro o cinque infermiere attraverso lezioni bisettimanali sui rudimenti dell’anatomia, della fisiologia e dell’igiene. Per correggere le deformità venivano poi applicati apparecchi ortopedici costruiti appositamente dai medici nei locali delle infermerie: apparecchi gessati (gambali e dorsetti), apparecchi amovibili di legno e di cartone (vari tipi di stecche), e apparecchi di ferro applicati allo stivale per il valgismo del piede.
I medici e le infermiere erano affiancati da una maestra la quale, anche in seguito all’attuazione della legge nazionale sull’istruzione obbligatoria (1877) dei bambini dai sei ai nove anni di età (11), aveva il compito di garantire l’istruzione elementare, sebbene la debolezza fisica e i frequenti dolori ossei dei piccoli rachitici non consentissero un insegnamento “regolare, uniforme e completo” imponendo lezioni di brevissima durata e frequenti riposi. La maestra Giuseppina Nori, in una relazione destinata a Panzeri, conservata all’Archivio Storico dell’Istituto Ortopedico Rizzoli, descrive brevi momenti di vita della scuola-asilo:
Mi attenni più che altro a dirozzarli, giacché questi fanciulli infelici non hanno generalmente mai frequentato la scuola e vivono in ambienti che, se sono contrari al loro sviluppo fisico, non sono neppure favorevoli al loro svolgimento intellettuale e morale. E per far questo ho dovuto prima affezionarmeli con sorrisi e con baci. Riuscita nel mio intento, ho insegnato loro di parlare in lingua facendoli conversare spesso. […] Ai più grandicelli ho dato un po’ d’idea di calcolo, ho fatto conoscere le lettere col metodo fonico procurando che ogni lezione fosse preceduta da un fatto, o da un discorsino, che destando negli alunni curiosità e diletto, li istruisse senza [?]. Ho dato idea ristrettissima dei più comuni fenomeni della natura, cogliendo l’occasione di nevicate, di piogge, di temporali, perché nulla è più efficace per il bambino che l’imparare dal concreto. Passeggiando nel giardino ho insegnato i principali nomi di fiori, nell’orto i più importanti di ortaggi, e i bambini si divertivano a ripetere con gare le cosine imparate. Li ho fatti giocare colle palline per far loro conoscere i colori, la forma e la materia di quei corpi. […] Nell’insegnare poesie e canti ho voluto raggiungere il duplice scopo di istruire e di educare il sentimento. […] Tornando al concetto che la cura in questo genere di scuola è parte primaria, ho lavorato perché i miei bambini facessero molte passeggiate e molti bagni; non mancassero di massaggi e di ginnastica, e, in quelle ore dedicate allo studio, non trascurassero la posizione del corpo, perché avrei avuto rimorso che imparassero a svantaggio del loro fisico.

La scuola-asilo dell’Istituto Rizzoli venne soppressa nell’agosto del 1900. L’ubicazione dell’istituto e la mancanza di mezzi pubblici di comunicazione, al di là del servizio di “omnibus” che si fermava in pochi punti della città, rendevano difficile l’affluenza giornaliera dei piccoli rachitici, la maggior parte invalidi agli arti inferiori (12). Secondo una lettera di Pantaleoni, indirizzata al Presidente del Consiglio Amministrativo dell’Istituto Ortopedico Rizzoli, dell’ottobre del 1900 e conservata sempre all’Archivio Storico, frequentarono la scuola 126 bambini nel 1897, 162 nel 1898, 233 nel 1899 e 146 fino all’agosto del 1900. Nei quattro anni di attività ne furono operati 80 e dimessi 281: “eccettuati pochissimi che avevano passata l’età e che non potevano rimanere nell’Istituto nonostante che non fossero in buone condizioni di salute, gli altri tutti uscirono in condizioni ottime o quasi”. Nonostante le conclusioni positive della lettera del medico sull’utilità della scuola-asilo e le comunicazioni alle famiglie dei bambini, presenti tra le carte d’archivio, sulla sospensione della scuola-asilo “fino a nuovo ordine”, che non danno quindi a intendere a una sua soppressione definitiva, la scuola non sarà più attivata. I casi più lievi di rachitismo furono fatti affluire all’ambulatorio di città, trasferitosi in quell’anno in una ùsede specifica, in Vicolo Dell’Orto, che assicurava la possibilità di consultazioni in tutti i giorni della settimana e dove era possibile svolgere piccoli interventi. I piccoli rachitici bisognosi di cure più lunghe e complesse venivano ricoverati insieme agli altri bambini con deformità congenite (come la lussazione delle anche o i piedi torti) all’Istituto, nelle infermerie del reparto fanciulli, ampliato e riorganizzato da Alessandro Codivilla, nuovo Direttore del Rizzoli dal 1899, dopo le dimissioni date da Panzeri per dedicarsi esclusivamente all’Istituto per rachitici di Milano.
Il progetto di una linea tranviaria che conduceva a San Michele in Bosco fu approvato solo nel 1909, in un momento in cui nelle altre città italiane il concetto di scuola-asilo era totalmente cambiato: la scuola non aveva più finalità in se stessa ma era diventata una sezione annessa a centri ospedalieri specialistici che ne avevano modificati gli originari scopi e fisionomia.
Le prime scuole-asilo, “istituzione tutta italiana”, nate dalla collaborazione tra medici, filantropi e cittadini facoltosi come opere di beneficenza che avevano lo scopo di assicurare l’istruzione elementare, associata a “trattamenti igienici”, alla somministrazione di “preparati anti-rachitici” e alla ginnastica medica, furono il nucleo embrionale di veri e propri istituti ortopedici-chirurgici nel senso odierno della parola (come l’Istituto Ortopedico-Chirurgico Gaetano Pini di Milano, il Regina Maria Adelaide di Torino, il Centro Ortopedico Genovese, l’Istituto Ortopedico Matteo Rota di Bergamo). Le deformità rachitiche furono così il primum movens dello sviluppo di questa branca della chirurgia in Italia, ma ben diverso era stato il caso di Bologna (13). L’Istituto bolognese, scavalcando completamente la fase embrionale delle altre istituzioni, era sorto, per volere di Rizzoli e probabilmente grazie all’esperienza delle scuole-asilo delle altre città italiane, con una fisionomia specialistica già matura e sulla base di una concezione già evoluta della nascente ortopedia: “non solo nel senso letterario della parola ossia l’arte di raddrizzare i fanciulli, ma eziandio in quello di impedire e correggere in qualunque età con mezzi meccanici o chirurgici le esterne deviazioni della forma normale, alle quali può andare soggetto l’umano organismo, e specialmente l’apparato locomotore, osseo e muscolare” (Statuto 1882). E forse per questo si può spiegare la brevissima ma importante esperienza della scuola-asilo bolognese.

 

 

ALESSANDRA CEREA

Fonti delle immagini:
1 – Il complesso di San Michele in Bosco, Album Cassarini (1896) in Anna Maria Bertoli Bassotti e Alfredo Cioni (a cura di), L’Istituto Rizzoli in San Michele in Bosco. Il patrimonio artistico del monastero e vicende storiche di cento anni di chirurgia ortopedica, Bologna, Ior, 1996
2 - Francesco Rizzoli, Anna Maria Bertoli Barsotti e Alfredo Cioni (a cura di), op. cit.
3 – L’Istituto in una fotografia degli anni sessanta, AA. VV. Bologna e dintorni, Madonna dell’Albero, Circolo del merlo, 2000
4 - Relazione della Deputazione Provinciale (1895)
5 - Pietro Panzeri, Anna Maria Bertoli Barsotti e Alfredo Cioni (a cura di), op. cit.
6 - Nicolas Andry De Bois-Regard, L’orthopédie ou l’art de prévenir et de corriger dans les enfants les difformités du corps (1749)
7 - La prima operazione all’Istituto, Album Cassarini (1896) in Anna Maria Bertoli Barsotti e Alfredo Cioni (a cura di), op. cit.
8 - Mappa, L’Istituto Ortopedico Rizzoli a S. Michele in Bosco. Relazione della Deputazione al consiglio Provinciale di Bologna, Bologna, Regia Tipografia, 1895 in Marco Macciantelli e Vittorio Prodi (a cura di), Centenario dell’Istituto ortopedico Rizzoli 1896-1996, Bologna, Centro stampa della Provincia di Bologna, 1996
9 – Scuole, Album Cassarini (1896) in Anna Maria Bertoli Barsotti e Alfredo Cioni (a cura di), op. cit.
10 – Tinozze per bimbi, L’Istituto Ortopedico Rizzoli a S. Michele in Bosco in Bologna, Bergamo, Officine dell’Istituto Italiano d’arti grafiche, 1910.
11 - Notizie e cenni statistici sulla Scuola-asilo pei bambini rachitici
(1901)
12 – Sala per la ginnastica, Ibidem
13 - Il carrello dei bimbi, L’Istituto Ortopedico Rizzoli a S. Michele in Bosco in Bologna, Bergamo, Officine dell’Istituto Italiano d’arti grafiche, 1910]
14 -Una piccola paziente dell’Istituto, Collezione Rizzoli. Andrea Emiliani, Italo Zannier (a cura di), Il tempo dell’immagine. Fotografi e società a Bologna 1880-1980, Torino, Seat, 1993.
15 e 16 - Il Reparto fanciulli dell’Istituto Rizzoli, Stellina Ronchi, Sul colle santo, Rocca S. Casciano, Cappelli, 1926

 

DOCUMENTI:

· Sul colle santo. Il racconto di una paziente del reparto fanciulli (1926)

 

BIBLIOGRAFIA

Luigi Bader, Genesi ed evoluzione dell’ortopedia in Italia: dalla chirurgia del Medioevo alla chirurgia ortopedica dei nostri giorni, Padova, Liviana, 1962

Luigi Bader, L’istituto Rizzoli e la scuola bolognese di chirurgia ortopedica, Bologna, Cappelletti, 1965

Anna Maria Bertoli Barsotti e Alfredo Cioni (a cura di), L’Istituto Rizzoli in San Michele in Bosco. Il patrimonio artistico del monastero e vicende storiche di cento anni di chirurgia ortopedica, Bologna, Ior, 1996

Raffaele A. Bernabeo, “Il laboratorio per immagini dell’Istituto ortopedico Rizzoli (1896-1940”, Il tempo dell’immagine. Fotografi e società a Bologna 1880-1980, Torino, Seat, 1993

Ezio Castoldi, “Gli Ospizi marini pegli scrofolosi e pei rachitici”, Rivista della beneficenza pubblica, vol. 1, 1873

Statuto organico dell'Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna, 1882

Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna, Regia Tipografia, 1884

Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna, Soc. Tip. Mareggiani, 1927, estratto da Il Comune di Bologna, anno XIII, n. 3, marzo 1927

“L’Istituto milanese dei rachitici”, Rivista della beneficenza pubblica e di igiene sociale, vol. 3, n. 2, 1895

L’Istituto Ortopedico Rizzoli a S. Michele in Bosco. Relazione della Deputazione al consiglio Provinciale di Bologna, Bologna, Regia Tipografia, 1895

L’Istituto Ortopedico Rizzoli a S. Michele in Bosco in Bologna, Bergamo, Officine dell’Istituto Italiano d’arti grafiche, 1910

Enrico Lorenzi, Il monastero di San Michele in Bosco e l’Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna, Pendragon, 2006

Marco Macciantelli e Vittorio Prodi (a cura di), Centenario dell’Istituto ortopedico Rizzoli 1896-1996, Bologna, Centro stampa della Provincia di Bologna, 1996

Giuseppe Monti, Carlo Pantaleoni, Notizie e cenni statistici sulla scuola-asilo pei bambini rachitici, annessa all'istituto Rizzoli, Bologna, Tip. Gamberini e Parmeggiani, 1901. (estratto dal Bullettino delle scienze mediche di Bologna, serie 8, v. 1, marzo 1901)

Mario Paltrinieri, “La storia dell’Istituto Ortopedico Rizzoli a cento anni dalla morte del suo fondatore”, Strenna storica bolognese, 1997, pp. 281-297

Gaetano Pini, “Proposta di una scuola per rachitici”, Annali universali di medicina, vol. 225, n. 675, 1873

Gaetano Pini, “La Scuola pei Rachitici in Milano, discorso pronunciato dal Dott. Pini per l’inaugurazione della scuola”, Rivista della beneficenza pubblica e degli Istituti di previdenza, vol. 3, n. 6, 1875

Gaetano Pini, “Gli Istituti pei rachitici”, Rivista della beneficenza pubblica e degli Istituti di previdenza, vol. 4, n. 9, 1876

Gaetano Pini, “Il Pio Istituto dei Rachitici in Milano”, Rivista della beneficenza pubblica e degli Istituti di previdenza, vol. 5, n. 11, 1877

Gaetano Pini, “Il nuovo Istituto dei Rachitici in Milano”, Rivista della beneficenza pubblica e degli Istituti di previdenza, vol. 9, n. 8, 1881

Stellina Ronchi, Sul colle santo: reparto fanciulli dell'Istituto Rizzoli in Bologna, Rocca S. Casciano, Cappelli, 1926

Enrico Rosmini, “Le Scuole dei Rachitici”, Rivista della beneficenza pubblica, vol. 2, n. 3, 1874

Statuto organico dell'Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna, Soc. Tip. Mareggiani, 1882

Chiara Tartarini, “Il laboratorio delle immagini dell’Istituto Rizzoli di Bologna”, Anatomie fantastiche: indagine sui rapporti tra il cinema, le arti visive e l’iconografia medica, Bologna, Clueb, 2003



NOTE

1. Luigi Bader, L’istituto Rizzoli e la scuola bolognese di chirurgia ortopedica, Bologna, Cappelletti, 1965
2. “La chirurgia era ridotta al trattamento esterno delle fratture e delle lussazioni, alle osteoclastie, alle correzioni a sforzo, ma chi osava aprire col bisturi un ventre o un torace andava incontro a pericoli di ogni genere, a suppurazione, alla morte del paziente”. Francesco Delitala, “La grande storia del Rizzoli”, in Anna Maria Bertoli Barsotti e Alfredo Cioni (a cura di), L’Istituto Rizzoli in San Michele in Bosco. Il patrimonio artistico del monastero e vicende storiche di cento anni di chirurgia ortopedica, Bologna, Ior, 1996, cit. p. 125
3. Mario Paltrinieri, “La storia dell’Istituto Ortopedico Rizzoli a cento anni dalla morte del suo fondatore”, Strenna storica bolognese, 1997, cit. p. 284
4. Luigi Bader, op. cit.
5. Cfr. Gaetano Pini, “Proposta di una scuola per rachitici”, Annali universali di medicina, vol. 225, n. 675, 1873 e “Gli Istituti pei rachitici”, Rivista della beneficenza pubblica e degli Istituti di previdenza, vol. 4, n. 9, 1876.
6. Gaetano Pini, “Il nuovo Istituto dei Rachitici in Milano”, Rivista della beneficenza pubblica e degli Istituti di previdenza, vol. 9, n. 8, 1881.
7. Il primo Ospizio marino fu installato in uno stabilimento di Viareggio per iniziativa del “professore e cavaliere” Giuseppe Barelizi. Quando Pini proponeva l’idea di una scuola-asilo per rachitici erano sedici gli stabilimenti balneari italiani dedicati allo scopo. Cfr. Ezio Castoldi, “Gli Ospizi marini pegli scrofolosi e pei rachitici”, Rivista della beneficenza pubblica, vol. 1, 1873.
8. Cfr. Gaetano Pini, “Proposta di una scuola per rachitici”, Annali universali di medicina, vol. 225, n. 675, 1873.
9. “L’Istituto milanese dei rachitici”, Rivista della beneficenza pubblica e di igiene sociale, vol. 3, n. 2, 1895.
10. L’Istituto Ortopedico Rizzoli a S. Michele in Bosco. Relazione della Deputazione al consiglio Provinciale di Bologna, Bologna, Regia Tipografia, 1895.
11. Nell’Archivio Storico dell’Istituto Ortopedico Rizzoli sono conservati i comunicati inviati dall’Ufficio d’Istruzione del Comune di Bologna che invitavano il Direttore a fornire un elenco degli alunni che frequentavano la scuola-asilo per ottenere l’autorizzazione a continuarla anche durante l’anno successivo.
12. Luigi Bader, op. cit.
13. Luigi Bader, Genesi ed evoluzione dell’ortopedia in Italia: dalla chirurgia del Medioevo alla chirurgia ortopedica dei nostri giorni, Padova, Liviana, 1962