A parte i lavori più urgenti che erano stati apprestati contestualmente al trasferimento (settembre 1867), i lavori generali di ristrutturazione all’ex convento di Sant’Isaia iniziano nel 1868, con l’obiettivo di ricavarne un luogo adatto al ricovero dei malati di mente. L’ingegnere Adriano Panighi, dell’ufficio tecnico provinciale, è deputato ad apprestare i disegni dei singoli lavori. Nel resoconto che ci ha lasciato, Francesco Roncati definisce il periodo della ristrutturazione “tre annate di affanni e pericoli e disagi indicibili”. Sono infatti necessari molti interventi: al riscaldamento, al vecchio sotterraneo che viene destinato a legnaia, alla costruzione di una ghiacciaia. In particolare vanno introdotte misure di sicurezza, tra cui la separazione dei pericolosi e agitati, e quella tra uomini e donne che ancora risulta incompleta. Per la mancanza della cucina, nella nuova sede non si può nemmeno fornire pasti caldi ai ricoverati: così, scrive Roncati, “per quasi 18 mesi, certo numero di pazzi andò pel cibo allo Spedale Maggiore”, e inoltre si compiace di sottolineare che tutti i lavori vennero fatti, “come in nessun altro caso sarà accaduto mai”, a manicomio già funzionante, con i ricoverati cioè già trasferiti e presenti nella nuova struttura. Di più, i malati collaborano con operai e muratori, partecipando attivamente all’opera di adeguamento. Nel 1869 – anno in cui la gestione del manicomio viene assunta dalla Provincia –, dei quasi 300 ricoverati circa una cinquantina viene impiegata quotidianamente in aiuto dei 200 operai, “per opere di sterro, e per caricare o scaricare barocci, ed anche portare sui palchi delle fabbriche i mattoni e la malta ed i secchi dell’acqua”. Viene destinato ad uso di legnaia dell’istituto il vecchio sotterraneo: la terra da lì rimossa viene utilizzata per ricoprirvi la futura ghiacciaia.
Roncati stesso, convinto che un buon ospedale per matti debba conciliare esigenze di ordine estetico e igienico, si adopera per risolvere alcuni problemi riscontrati comunemente nella costruzione dei manicomi – tra cui quello di garantire la sicurezza degli internati senza dare ai locali, e in particolar modo alle stanze in cui i malati sono custoditi, l’impronta di prigionia o reclusione. Mette dunque a punto un paio di soluzioni originali: la finestra «a T» e la «chiave unica» che, dopo essere state introdotte a Bologna, verranno successivamente richieste anche da Manicomi di altre città:
Qui il triplice intendimento di 1) concedere libera veduta e sfogata ventilazione, 2) illudere la vista, 3) ed in uno dare assoluta sicurezza, è stato raggiunto, già nel 1869, con una finestra di ordinaria grandezza, foggia e posizione, a doppio telaio, con fissi nel telaio esterno (da aprirsi a volontà come l’interno) regoli di ferro a T, ai quali ben corrispondono i riparti nel telaio della vetrata, ossia nei battenti interni. Ed ambo i telai, come i battenti singoli di ciascuno, da aprirsi e richiudersi mediante il quadrello per le viti di sicurezza innestato sulla chiave comune. Alla quale pure fu rivolto uno studio particolare: e fatta venire dal manicomio di Préfargier (foggiata su un tipo usuale ai manicomi d’Inghilterra) qui si volle anche migliorarla, con renderla più idonea a girare le viti di sicurezza, ed inoltre a poter dare tre giri invece dei due soli, dati dalla chiave modello. E così in questo Manicomio si ebbe un sistema di serrame per usci e finestre (tra comodo e semplice non so qual più), stato, al pari della finestra di sicurezza, adottato poi dovunque, e prima che altrove nel Frenocomio di Reggio-Emilia, dove nel 1870 andò riformatore il Dott. Ignazio Zani, medico assistente in questo di Bologna. Nel quale la chiave comune dà una volta sola: due può darne quella dell’Ispettore e dell’Infermiere Capo: sino a tre volte o girate dà la chiave del Direttore e dei Medici (*).
Come si è detto, va sottolineato che, al di là della specificità dei singoli lavori apprestati, la messa a punto di un manicomio ben organizzato rappresenta la base teorica e pratica su cui poggia l’intero edificio psichiatrico del periodo.
* Francesco Roncati, Ragioni e modi di costruzione ed ordinamento del manicomio provinciale di Bologna, Bologna, Regia Tipografia, 1891, p. 9.
Elisa Montanari