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Il numero dei ricoverati del manicomio di Bologna

Il movimento degli internati (entrati, usciti, morti, rimasti) è accuratamente registrato, anno per anno, in apposite tabelle. Prendendo in esame l’arco temporale della costituzione del nuovo manicomio, si vede che gli individui presenti nella struttura alla fine del 1867 (anno del trasferimento) sono 235, mentre al termine del 1871 (anno di conclusione dei lavori di adeguamento) risultano esserne in carico all’istituzione 329. Scorrendo poi le statistiche degli anni successivi, si assiste a un tendenziale – anche se non propriamente costante – aumento degli individui che di anno in anno rimangono ricoverati nell’ospedale. La rilevanza del fenomeno costringe gli stessi medici alienisti a una riflessione: già nel 1869, precisamente l’11 luglio, Ignazio Zani aveva letto alla Società Medico-Chirurgica di Bologna una dissertazione dal titolo Dell’aumento della popolazione ne’ manicomi. Delle cause e de’ rimedi in cui imputava l’aumento dei ricoverati a quattro generi di cause (generali, particolari, naturali e morbose), prima tra tutte “le migliorate condizioni dei manicomi”. Questa interpretazione veniva confermata anche da Roncati nello scritto del 1891: l’aumento dei ricoverati non rispondeva meramente a un aumento in Italia delle malattie mentali, ma era da considerarsi un buon effetto della presenza di una adeguata rete nazionale di manicomi e delle loro migliorate condizioni: gli ammalati – scriveva - “ora stanno reclusi”. Si trattava di un fenomeno – continuava Roncati – comune a molti paesi avanzati, d’Europa e d’America: nella seconda metà dell’Ottocento, Belgio, Inghilterra, Francia, Prussia, hanno tutti visto aumentare considerevolmente il numero di individui internati e, parallelamente, le spese per il loro mantenimento.

Certamente la spiccata attenzione di Roncati per la tecnica manicomiale e la scarsa produttività scientifica in ambito psichiatrico – di fatto non partecipa attivamente agli appuntamenti congressuali della Società italiana di freniatria (costituitasi nel 1874) né pubblica articoli di psichiatria sui periodici specialistici italiani – ci rendono la figura di un direttore interessato squisitamente al buon governo dell’istituzione piuttosto che ai dibattiti teorici in seno alla sua comunità scientifica: rappresentante di una consistente schiera di psichiatri amministratori, meno direttamente coinvolti nell’impresa di mostrare la propria competenza scientifica e di ottenere il riconoscimento professionale del loro operato (1).

D’altronde, la psichiatria bolognese si era mantenuta fin dalle origini particolarmente agganciata all’istituzione medica: ne sono prova, a partire da Gualandi, gli interventi degli alienisti bolognesi ai congressi della Società medico-chirurgica e la pubblicazione di numerosi articoli sulla rivista della società stessa (il “Bullettino delle scienze mediche”). Questo forte legame d’appartenenza alla medicina locale risulta particolarmente significativa in un momento in cui la psichiatria nazionale sta costruendo la propria identità professionale e specialistica, e ancor di più se si pensa che questo periodo coincide con la nascita a Bologna del primo nucleo manicomiale staccato dall’ospedale generale.

 

NOTE

1. A questo proposito si rimanda al volume di V. P. Babini, M. Cotti, F. Minuz, A. Tagliavini, Tra sapere e potere. La prichiatria italiana nella seconda metà dell'Ottocento, Bologna, Il Mulino, 1982.

 

elisa montanari