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Dal Medioevo all’Unità d’Italia

L’area che dal 1868 al 1978 ha ospitato il manicomio cittadino è quella della parte finale di via Sant’Isaia. Tale strada, che va da Piazza Marcello Malpighi a Piazza di Porta Sant’Isaia, forma una lunga arteria porticata che per secoli ha collegato la zona periferica a ovest della città con il centro. La contiguità con strade popolari come via Frassinago e via del Pratello ha da sempre contraddistinto l’intera zona dando vita nei secoli a un quartiere con queste spiccate caratteristiche. Tali caratteristiche, tuttavia, contribuirono anche al proliferare di chiese e importanti istituti religiosi che svolgevano attività di aiuto e sostegno alla popolazione come l’antica chiesa parrocchiale di Sant’Isaia, costruita attorno la metà dell’XI secolo e che ha dato il nome alla strada, il monastero di San Mattia della metà del XVI secolo, l’attuale istituto magistrale “Laura Bassi” anticamente sede dell’educatorio femminile delle suore di Sant’Anna e poi convento dei frati certosini fino al al XVII secolo, e infine il monastero di San Giovanni Battista. Nonostante la maggior parte di questi luoghi sia ancora oggi visibile, molti di loro hanno cambiato destinazione d’uso nel corso dei secoli modificando completamente le loro forme e risultando ora non più riconoscibili. Senza ombra di dubbio l’esempio principale al quale si fa riferimento è la vicenda legata al monastero di San Giovanni Battista e alla sua trasformazione in manicomio.

Le notizie relative al monastero purtroppo non sono molte, ma, nonostante ciò, è possibile riuscire a ricostruire un quadro storico corretto. Le prime notizie riguardo all’edificazione di un nucleo iniziale si collocano nel 1239, quando la priora della Trinità di Ronzano Villana Calderini riuscì a ottenere dai proprietari il diritto di fondare una nuova chiesa nei pressi della strada Sant’Isaia, dove erano i resti di un antico luogo di culto dedicato a Santa Maria e San Giovanni. La posizione della nuova chiesa era, dunque, particolare, dal momento che si trovava in una zona periferica della città al di fuori della cerchia muraria detta “dei torresotti”, basti pensare alla distanza che intercorre tra la zona in considerazione e il torresotto di Portanova, in una porzione di territorio ancora a carattere agricolo e ortivo probabilmente raggiungibile tramite percorsi extra urbani. Questa situazione era comunque tipica, essendo allora prassi che i nuovi complessi religiosi sorgessero in zone periferiche dei centri abitati oppure al di fuori di essi, come, ad esempio, il grande quartiere francescano posto nella medesima zona oppure il complesso di Santo Stefano. Tale posizione decentrata rimase come caratteristica dell’insediamento religioso, nonostante il costante ingrandirsi della città. Infatti, in un documento del 1330 le suore affermarono che il loro convento era posto in un terreno “arativo, vignato ed ortivo”,(1) all’interno della terza e definitiva cerchia fortificata che si stava costruendo. Nel corso degli anni il monastero era riuscito, tramite donazioni e lasciti, ad ampliare le sue proprietà nella zona tanto che, ricollegandosi alla situazione appena accennata di altri complessi religiosi contemporanei, è curioso scoprire come “nei primi anni del ‘300 una delle case appartenenti al monastero, prospettante la strada Sant’Isaia, ospitava un fornaio che oltre a rifornire di pane il convento e l’immediato circondario, attraverso il canone d’affitto poteva assicurare un piccolo ma sicuro cespite alle monache. Una situazione analoga a quella del convento di S.Stefano.”.(2) Le notizie sul convento cessano per riprendere nella seconda metà del XV secolo e, più esattamente, nel 1468, anno che vide l’ingresso di un nuovo ordine di monache, le domenicane di Santa Caterina di Quarto e di Santa Maria Maddalena di Strada Maggiore che sostituirono le ultime suore rimaste nel convento. Subito le monache si fecero promotrici di un rinnovamento e di riforme a favore dell’ordine che portarono non solo all’aumento di consorelle nel territorio cittadino, ma anche all’incremento di donazioni e offerte. Senza dubbio questo nuovo impulso rese, nel tempo, il monastero di San Giovanni Battista un luogo importante per la città e per il quartiere, cosa che si riscontra nell’attuazione, nel tempo, di lavori di miglioramento e abbellimento dello stabile. Infatti, nel 1597 l’architetto Pietro Fiorini eseguì lavori di ristrutturazione della chiesa e costruì un nuovo portico,(3) mentre nel 1793 venne costruita una nuova portineria. L’intervento architettonico che meglio aiuta a comprendere la posizione di rilievo del monastero di Sant’Isaia nel panorama religioso cittadino è dato dai lavori di ristrutturazione che Alfonso Torreggiani, fra i maggiori architetti bolognesi dell’epoca, eseguì nel 1756 nelle grandi cucine e nelle officine contigue.(4)
La situazione rimase così immutata fino al 1799. In quell’anno le truppe francesi guidate da Napoleone Bonaparte assunsero il comando della città e uno dei primi interventi del nuovo governo fu la soppressione di tutti gli ordini religiosi. Il 1° Febbraio il monastero fu soppresso e le monache dovettero abbandonarlo per trasferirsi nei pochi monasteri superstiti. Per vent’anni il complesso venne utilizzato prima come caserma e successivamente come ospizio, fino a quando, negli anni venti dell’Ottocento, con la Restaurazione e il ritorno del potere papale a Bologna, il convento venne occupato dalle monache salesiane di Modena. Esse vi crearono un centro di educazione per giovani ragazze che rimase attivo fino alla metà degli anni Sessanta dell'Ottocento.

Da questa breve descrizione della storia del complesso di via Sant’Isaia prima della sua trasformazione a manicomio si può, quindi, capire come quelli che furono considerati da Roncati i punti di forza dello stabile derivassero da precise ragioni storiche. Ad esempio, la posizione periferica e isolata derivata dalla prassi medievale di costruire i nuovi luoghi di culto preferibilmente lontano dai centri delle città, dava la possibilità di usufruire di appezzamenti di terreno per avere coltivazioni che rendessero autosufficienti i monasteri, i quali erano costruiti in maniera tale da essere adatti ad ospitare degli abitanti e quindi forniti di dormitori, cucine, refettori, bagni, luoghi di passeggio, depositi e altri servizi. Queste caratteristiche rimasero pressoché immutate nel corso dei secoli, in particolare in una zona quella di via Sant’Isaia meno interessata di altre alle spinte di urbanizzazione e mancante di attività paleo industriali che ne favorissero lo sviluppo. Ne conseguì il permanere di ampie zone libere da costruzioni e semi agricole, come si vede chiaramente dalle mappe della città fino ai primi del Novecento. Ecco che si iniziano così a capire i motivi storici e urbanistici che portarono alla costruzione del manicomio bolognese.

Continua: Il periodo post unitario e la nascita del manicomio

Lorenzo Bonazzi

NOTE

1 Note circa l’insediamento, origine ed evoluzione, della chiesa e del monastero femminile di San Giovanni Battista in Via Sant’Isaia, in, Relazione storica del complesso ex ospedale Roncati via S.Isaia 90 - Progetto di restauro e adeguamento normativo 1° stralcio, Azienda USL Città di Bologna, 27 giugno 2003, p.2.

2 Ivi, p.3.

3 Sull’argomento si veda, Guido Zucchini, Un manoscritto autografo dell’architetto Pietro Fiorini, in, “L’Archiginnasio”, Bologna, 1954-1955, pp.61-84.

4 Sull’argomento si veda, Note circa l’insediamento., cit., p.3, e di seguito le note 4 e 5 relative a Giuseppe Gudicini e Domenico Maria Galeati.

Foto: Anonimo, Bologna. Pianta scenografica della città, incisione ad acquaforte (disegnatore G. Ferratini, incisore C. Pisarri), 1743/ Cineteca di Bologna – Archivio Fotografico