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Il periodo post unitario e la nascita del manicomio

La nascita dello stato italiano rappresentò il momento storico di passaggio che permise l'evolvere della vicenda. Il rinnovamento non solo politico-economico, ma anche urbanistico e sociale in atto in tutto il paese vide Bologna come uno dei centri di maggior sviluppo, anche in un’ottica istituzionale, in quanto la città era una delle possibili candidate al ruolo di nuova capitale del paese. Il processo di modernizzazione cittadina, dopo secoli di immobilismo sotto la dominazione papale, è in particolar modo visibile nel rinnovamento urbanistico che vide, ad esempio, il potenziamento della stazione ferroviaria, la quale, grazie all'opera dell'ingegnere francese Jean Louis Protche, poté disporre di nuove linee ferroviarie verso le città vicine, ma anche i grandi lavori per la progettazione di luoghi quali la sistemazione del tratto finale di via Saragozza e la creazione di via Farini, eseguiti dal capo dell'Ufficio Tecnico, l'ingegnere-architetto Coriolano Monti. Da ciò risulta evidente che la costruzione del nuovo manicomio va vista all’interno dei profondi mutamenti attuati dopo l’unità. I cambiamenti, del resto, non prendevano in considerazione soltanto l'ammodernamento urbano e architettonico, ma anche altri ambiti come quello sanitario, strettamente legati tra loro e bisognosi, all'epoca, di una profonda riorganizzazione.

A Bologna la situazione dell'assistenza ai bisognosi e ai malati viveva un momento di forte crisi. Il governo pontificio, infatti, aveva lasciato per secoli tale servizio in mano alle confraternite religiose, le quali, tramite donazioni pubbliche, mantenevano attività di aiuto nei confronti degli indigenti all'interno dei numerosi ospedali religiosi sparsi nei quartieri della città. Tali servizi, gestiti dall'Opera dei mendicanti, risultavano, comunque, insufficienti alla popolazione e creavano una continua situazione di emergenza. Per quanto riguarda in particolare la situazione dei folli, essi erano sistemati, in gran parte, all'Ospedale di Sant'Orsola. A questa sistemazione si era tentato di dare una forma più organizzata fin dal 1710, con la costruzione di un corpo di fabbrica che doveva contenere i malati mentali presenti in città, anche quelli provenienti da altre strutture. Nelle intenzioni, la nuova ala sarebbe stata gestita, per la prima volta, in maniera ospedaliera, al fine di costituire un luogo esclusivamente votato all'assistenza dei pazzi, costituendo così il primo nucleo manicomiale di Bologna. Come raccontano le fonti dell'epoca il nuovo ricovero per i pazzi fu costruito grazie a “un benefattore, che per carità e per liberare la Casa della pietà e l'altra di S.Gregorio dall'incommodo di ricovrare pazzarelli, si offerisce di far a sue spese e per detto fine et effetto nella Casa di S.Orsola là ove giornalmente vi è la commodità di medici e chirurgi un edifizio proporzionato e adattabile al ricovero di tali pazzarelli”(1). Per tutto il Settecento e fino agli anni sessanta dell'Ottocento fu il luogo adibito al ricovero dei malati mentali nel capoluogo emiliano.

Come detto, il fervore politico portato dalla costituzione del nuovo stato creò un momento di forte rinnovamento in tutti gli ambiti della società nazionale e quindi anche bolognese, che riguardò anche l’insieme dei servizi pubblici cittadini. Una delle principali e più urgenti riforme riguardò il sistema sanitario. In materia, infatti, Bologna viveva una situazione di crisi ed emergenza insostenibile; eredità della già citata organizzazione sanitaria pontificia che basava i suoi interventi esclusivamente sulla beneficenza privata e non sull’esistenza di un sistema assistenziale strutturato. In questo contesto si inserì la riforma del Governatore delle Province dell'Emilia Luigi Carlo Farini che emanò, nel 1860, il Decreto sugli ospedali. Il decreto si basava sul principio che la politica sanitaria fosse di sola competenza dello stato nel quadro di un’organizzazione generale di tutela della salute pubblica. La nuova legge stabiliva la nascita di un unico centro di controllo e amministrazione per gli ospedali bolognesi, il “Corpo amministrativo degli spedali”, che doveva essere composto da uomini di nomina governativa; si definiva inoltre una nuova organizzazione degli ospedali bolognesi che venivano divisi per funzioni e competenze: l'Ospedale Azzolini a Porta San Donato veniva riaperto per ospitare provvisoriamente le cliniche universitarie, l'Ospedale Maggiore era dedicato alla cura delle malattie violente, si fissava la costruzione di un nuovo ricovero di mendicità e la riconversione dell'Ospedali degli Abbandonati a centro per i pellagrosi. L'ospedale di Sant'Orsola, infine, rimaneva come luogo di cura dei malati incurabili, celtici e lebbrosi, mentre i dementi si sarebbero dovuti spostare in altra sede. Successivamente, sempre nello stesso anno, “con decreto reale del 22 dicembre 1860 si istituiva nel manicomio la clinica universitaria per le malattie mentali e con altro decreto del 31 gennaio 1861 veniva nominato direttore della stessa clinica Benedetto Monti, professore di igiene pubblica e medicina legale nell'Università di Bologna dal 1859”(2). Finalmente i tempi erano maturi per affrontare il tema della nascita di un nuovo e moderno manicomio a Bologna, alla luce della totale inadeguatezza degli spazi del Sant'Orsola, che, non potendo fornire la minima garanzia di vivibilità agli alienati, rappresentavano un grave problema per la città. Ormai troppo vecchi e insufficienti a contenere un numero sempre crescente di malati, tali spazi venivano così descritti, nel 1860, dal celebre psichiatra milanese Carlo Livi che vi si era recato in visita: “Io vidi latrine aperte in ogni camera, o difese appena da' guanciali del letto, e letti ne' sottoscala e pavimenti umidi e tetti in rovina, e un orto che serviva da passeggio per gl'uomini ora riservato alla cultura de'cavoli, e bagni di terra che trasudano l'acqua e monache che mettono mano in tutto, e donne seminude e torme di folli oziosi, inquieti, minaccevoli aggirarsi di qua e di là come menati da infernale bufera”.(3) Da ciò si deduce come una città, che aveva intenzione di diventare uno dei centri principali del nuovo stato, non poteva più permettere l'esistenza di un luogo simile, il quale, oltre ai problemi legati all'igiene e alla disorganizzazione sanitaria, era indice di uno stato di arretratezza generale non più tollerabile. A tutto ciò si aggiunse il decreto reale del 22 dicembre, sempre del 1860, che istituiva la nascita della clinica universitaria per le malattie mentali all'interno del nuovo manicomio creando, così, una unione sempre più stretta tra Università e studi psichiatrici.

La riorganizzazione dell'intero sistema sanitario bolognese era, dunque, iniziata, ma i passaggi legati al rinnovamento della situazione manicomiale non furono subito immediati e non si arrivò a una rapida risoluzione del problema. Inizialmente fu nominato direttore della clinica psichiatrica, che ancora risiedeva al Sant'Orsola, Benedetto Monti. Egli tentò subito di risolvere il problema della costruzione di un nuovo manicomio, ma dopo due anni, nel 1864, a causa del forte disaccordo con il Corpo amministrativo provinciale degli ospedali riguardo ai suoi progetti, fu destituito dalla carica e sostituito con il dottor Francesco Roncati. Non è questo il luogo per parlare delle qualità mediche e di studioso di colui che è stato uno dei principali rappresentanti della nuova psichiatria bolognese tra la seconda metà del XIX secolo e i primi anni del XX secolo. Ciò che qui interessa è vedere il contributo determinante da lui dato alla vicenda e, in seconda battuta, analizzare sia i motivi che portarono alla scelta del monastero di San Giovanni Battista come luogo del nuovo manicomio bolognese, che i principali lavori architettonici eseguiti per trasformare un luogo di culto in un moderno ospedale psichiatrico.

Come il suo predecessore, anche Roncati si impegnò per trovare una collocazione adeguata ai malati, ma, al contrario di questi, fu in grado di approfittare del momento propizio che si presentò e dei suoi migliori appoggi e conoscenze politiche. I tempi stringevano; il nuovo governo aveva intenzione di attuare il già deciso spostamento delle cliniche universitarie all'interno del Sant'Orsola e lo spostamento del manicomio e della sua clinica in altro luogo. Per studiare il caso il Consiglio Provinciale di Bologna affidò ad una commissione di consiglieri e deputati provinciali formata dall'avvocato Sassoli, i professori Montanari, Rizzoli, Calori, Monti e gli ingegneri Canevazzi e Scarabelli, il compito di studiare e risolvere l'annoso problema. In particolare Francesco Rizzoli, uomo prestigioso, presidente dell'amministrazione ospedaliera e membro del Consiglio provinciale, che era il più importante organo amministrativo locale, fu la figura che si spese maggiormente per perorare la causa di Roncati(4). Inizialmente la commissione dovette decidere in merito a tre diverse opzioni che erano state proposte: la prima era quella di estendere il manicomio a più province, in modo da dividere i costi creandone uno unico ripartito in zone diverse, la seconda quella di costruirne uno nuovo in città, mentre la terza proponeva la soppressione del manicomio di Imola o, al contrario, il suo ampliamento per renderlo idoneo a tutta la provincia. La scelta cadde sulla seconda opzione, considerata come la più idonea a realizzare i nuovi principi della scienza igienista e a fornire un servizio adeguato alle esigenze. Decisa, in sintonia con il consiglio provinciale, la costruzione di un nuovo stabile, la Commissione incaricò l'architetto Genovese Ignazio Gardella di visitare alcuni manicomi in Francia tra cui il manicomio di Chambéry in Savoia, di recente costruzione e considerato come l'istituto modello di riferimento, al fine di compilare un progetto per la costruzione di quello bolognese.(5)

Il 12 marzo 1863, un anno dopo l'assunzione dell'incarico, l'architetto presentò il progetto, insieme a una accurata relazione sui metodi di costruzione e il preventivo delle spese che ammontava alla cifra di 1.300.000 lire. Tale cifra venne ritenuta troppo elevata e insostenibile per le casse provinciali, per cui il progetto venne subito interrotto dando il via a un periodo di stasi contrassegnato da un lato dall'immobilità del Consiglio provinciale, incapace di trovare una soluzione, e, dall'altro, dalle concitate e continue sollecitazioni di Roncati all'amico Rizzoli. Nel frattempo, infatti, le nuove cliniche universitarie stavano occupando definitivamente le zone del Sant'Orsola e il reparto del manicomio continuava a versare nelle condizioni abituali.
La questione rimase irrisolta fino agli anni 1865-1867, momento in cui, si riuscì a risolvere in maniera definitiva il problema.

Durante questo biennio successero, infatti, una serie di coincidenze che Roncati riuscì a sfruttare in maniera favorevole. La prima fu l'epidemia di colera che si abbatté nelle zone tra Ancona e Bologna e che portò, nella città emiliana, all'attivazione di provvedimenti per salvaguardare l'igiene cittadina, come, ad esempio, la creazione di un lazzaretto per i colerosi nell'antica Chiesa di Santa Maria delle Vergini detta della SS.Trinità nelle vicinanze di Porta Lame, di cui rimane lo stabile. Tale ospedale, però, non riusciva a soddisfare le esigenze del momento, tanto che le autorità sanitarie bolognesi iniziarono la ricerca di un luogo più adatto alla costruzione del nuovo lazzaretto. La scelta cadde sul convento di San Giovanni Battista, meglio conosciuto, all'epoca, come convento delle Salesiane. Come già detto all'inizio, esse occupavano lo stabile posto in via Sant'Isaia dagli anni venti dell'Ottocento e vi avevano istituito una scuola per giovani fanciulle. Nonostante le loro proteste furono obbligate, durante l'estate, ad abbandonare lo stabile e a occupare i nuovi locali, presso la chiesa del Baraccano, messi loro a disposizione dal Comune. Poco meno di un anno dopo, il 7 luglio 1866, venne emanata la legge di soppressione degli ordini monastici con il relativo passaggio degli edifici di proprietà ecclesiastica allo Stato che li destinò ai Comuni e alle Province per uso di pubblica utilità. In città molti conventi e monasteri vennero chiusi e tra questi rientrò anche quello delle Salesiane. La cosa non sfuggì a Rizzoli, che insieme a Roncati propose alla Deputazione Provinciale l'utilizzo del convento, da poco soppresso, come possibile luogo per ospitare gli alienati del Sant'Orsola, avvalendosi anche del fatto che era già stato scelto come centro adatto a una struttura di ricovero come il lazzaretto. A tal proposito, significativo è un passaggio della lettera da loro inviata alla Deputazione dove si legge: “ […] a parer mio e di persone competenti, senza costruire un manicomio nuovo di stampa, potrebbe ottenersi eguale scopo per quanto riguarda la salubrità del soggiorno e l'idoneità delle cure con utilizzare uno dei molti conventi resi vuoti per la soppressione delle corporazioni religiose. Fra i quali poi nessuno offre tale complesso di favorevoli condizioni, e tanta facilità d'opportuna riduzione quanto l'ex convento delle Salesiane”(6). La proposta venne accolta; ma la Deputazione Provinciale decise di tenere ancora una linea attendista al fine di valutare tutte le possibilità e definire le modalità di attuazione delle disposizioni governative in merito sia ai problemi di utilizzo degli ambienti che di mantenimento degli alienati. Un ulteriore passo avanti fu fatto il 28 maggio 1867, quando venne sancito un accordo di massima tra Comune e Provincia che definiva il passaggio a quest'ultima di alcuni conventi tra cui quello delle Salesiane. Tutto sembrava essere ormai pronto; Roncati era ormai riuscito a convincere gli organi provinciali della bontà del progetto di utilizzo del convento delle Salesiane e Rizzoli, con l'acquisizione da parte della Provincia dell'immobile, poteva aumentare la sua pressione sul Consiglio e la Deputazione. Mancava, dunque, solo l’occasione giusta per poter usufruire dei locali a disposizione.

Come detto in precedenza, Bologna stava vivendo un momento di difficoltà dovuto all'espandersi dell'epidemia di colera, che però, fortunatamente, si rivelò di non grandi dimensioni e causò solamente 180 vittime, un numero non alto, ma comunque sufficiente a creare preoccupazioni sulle condizioni sanitarie e igieniche cittadine. I locali del Sant'Orsola erano tra quelli più a rischio e la morte nel mese di settembre di una ricoverata nel manicomio allertò oltremodo la Soprintendenza degli ospedali, che acconsentì al trasferimento provvisorio di una parte dei pazzi al convento di via Sant'Isaia. Nei giorni seguenti altri trasferimenti vennero autorizzati e, nel giro di una settimana, tra il dodici e il diciannove settembre, il passaggio di tutti i ricoverati si poté considerare completato. La soluzione della vicenda fu, dunque, provocata dall'abile strategia portata avanti da Roncati, il quale, sfruttando il timore di una diffusione del morbo di colera tra i pazienti dell'Ospedale Sant'Orsola, riuscì nell'intento di occupare il convento delle Salesiane. Finalmente, dopo sei anni, si completò la riorganizzazione degli ospedali di Bologna, voluta dal decreto Farini, e si dotò la città di un manicomio al passo con il rinnovamento in atto all'epoca.

Continua: I lavori di trasformazione del convento delle Salesiane; 1868-1871

Lorenzo Bonazzi

NOTE

1 Cit in., Ferruccio Giacanelli, Katia Bellagamba, Maria Augusta Nicoli, La costituzione del manicomio di Bologna 1860-1870, in, “Sanità, scienza e storia: semestrale del Centro italiano di storia sanitaria e ospitaliera”, n.1, Milano, Angeli, 1986.

2 Ivi., p.22.

3 Carlo Livi, Viaggio scientifico a' manicomi d'Italia, Firenze, 1860, cit. in Il consolidamento dell'istituzione psichiatrica, in, Storia da un Manicomo: vita e vicende istituzionali di un birocciaio bolognese del XIX secolo, a cura di, Giuseppe Ferrari,“Noos”, vol.3, n.4, Roma, ottobre-dicembre 1997, p.229.

4Sull'argomento si veda, oltre ai testi citati in bibliografia, le lettere inviate da Roncati a Rizzoli presenti in, Eugenio dall'Osso, La costituzione in Bologna dell'Ospedale Psichiatrico Roncati, estr.da, “Bullettino delle Scienze Mediche”, Bologna, 1956, pp.226-232.

5Sull'argomento si vedano i faldoni riguardanti il progetto di Ignazio Gardella presenti nell'archivio storico della Provincia di Bologna.

6 F.Giacanelli et al., La costituzione del manicomio., cit., p.38.