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I lavori di trasformazione del convento delle Salesiane; 1868-1871

Completata l'occupazione dei locali di via Sant'Isaia ebbe inizio l'ultima fase della vicenda, ovvero la progettazione dei lavori di ristrutturazione dei medesimi onde trasformare il convento in un nuovo e moderno ospedale psichiatrico. Tali interventi, però, non iniziarono subito, ma circa un anno dopo a causa di alcuni fattori che ne rallentarono l'inizio come la sistemazione provvisoria dei degenti, i primissimi interventi di manutenzione straordinaria e la risoluzione delle ultime pratiche burocratiche legate al passaggio definitivo dello stabile alla Provincia. Solo con l'inizio dell'anno 1868 il nuovo direttore Roncati, con la collaborazione dell'ingegnere Adriano Panighi dell'Ufficio Tecnico Provinciale, poté organizzare e iniziare la serie di interventi che dovevano essere eseguiti.

Prima di parlare delle trasformazioni che vennero eseguite bisogna capire l'ambiente sul quale si lavorò, partendo dalla descrizione degli ambienti e delle zone che lo costituivano. Il complesso era, ed è tutt'oggi, molto ampio e si articolava in parti differenti attorno a quattro cortili principali, uno dei quali era un chiostro con cisterna, il secondo un giardino e gli altri due erano usati per la lavanderia e l'infermeria del convento. Attorno a questi erano disposti i dormitori nella parte est mentre, nella zona ovest, erano disposte le cucine con dispense e servizi, il coro e il refettorio. Nella parte a nord, invece, trovavano posto i parlatori e la grande chiesa di San Giovanni Battista, collegata alla via Sant'Isaia mediante un lungo loggiato d'ingresso. Infine, tutto intorno erano presenti gli orti delle monache, il frutteto e i prati d'ingresso.

Da questa, pur breve, spiegazione e anche dalle immagini relative si può meglio comprendere la grande portata dei lavori che vennero eseguiti. Il direttore Roncati conosceva bene gli ambienti e, in particolar modo, aveva in mente quali erano le caratteristiche che il nuovo stabile doveva possedere. A tal proposito importante è la descrizione che egli fornisce del convento all'interno del suo scritto, Ragioni e modi di costruzione e ordinamento del Manicomio Provinciale di Bologna: “L'edifizio, diviso in vari corpi di fabbrica, con ispazi scoperti, a prato, a giardino, ad orto: e tutto attorno un alto muro di cinta, da onde impedito il fuggire de' reclusi, ed anche tolta per esso ogni vista indiscreta dall'esterno. La positura poi, così bella e salubre come opportuna, perchè in remota parte della città, presso alle mura della cinta daziaria, e tutta scoperta dal lato di mezzodì con libera veduta delle colline amenissime”.(1) Tale descrizione riprende, puntualmente, gli aspetti analizzati all'inizio dello scritto riferibili alle costruzioni religiose di tipo conventuale di epoca medievale, le quali ben si adattavano ai bisogni di un moderno manicomio. La posizione strategica dello stabile era un punto di partenza fondamentale, ma, oltre a questa, Roncati aveva intenzione di costruire un ospedale psichiatrico che seguisse le nuove norme e regole della medicina igienista di fine Ottocento. Queste si riflettevano nell'organizzazione che il direttore aveva pensato: il manicomio poteva ospitare un massimo di 400 pazienti, gli uomini e le donne dovevano rigorosamente essere separati e divisi in sottosezioni a seconda dei casi (agitati, semi-agitati, sucidi, tranquilli, infermi, malattie comuni), i locali essere il più possibile di forma regolare, pavimentati in asfalto o mosaico battuto, ventilati, illuminati e senza decorazioni estetiche, di primaria importanza anche la presenza di bagni, posti nelle zone più lontane, zone di lavatura per le cure balneari-idroterapiche e, infine, ampie e numerose aree di passeggio. Il progetto era, come si può ben comprendere, di grande portata e puntava a una totale ridefinizione degli spazi interni e completa trasformazione anche dei luoghi esterni, con parti che subirono cambiamenti maggiori di altre, ma che nel complesso portarono a una trasformazione totale del convento.

I lavori si concentrarono in tutte le zone.(2) I percorsi interni e le destinazioni d'uso dei locali subirono importanti cambiamenti, vennero costruite ex-novo alcune ali e recintati nuovi luoghi di passeggio per i pazienti nelle zone dove sorgevano il frutteto e i prati d'ingresso. I principali cambiamenti consistettero nell'elevazione di un piano di alcune ali come i dormitori, vicini al chiostro, che passarono a tre piani, il refettorio, la zona del coro e il vicino granaio, i quali vennero anch'essi soprelevati e trasformati in camerate circondate da corridoi per i pazienti. Nel progetto finale il chiostro della cisterna perse la sua centralità e continuità con la zona della chiesa e gli altri locali, dal momento che, per favorire una maggiore compartimentazione fra i vari reparti, furono inseriti in esso dei tramezzi in muratura con porte ad ogni angolo. La zona più a nord, quella dell'ex-parlatoio, divenne sede dei servizi amministrativi, pur mantenendo l'antica area di incontro, stavolta riservata a pazienti e familiari. Oltre a ciò, due furono i luoghi che vennero modificati maggiormente rispetto agli altri: la zona delle cucine e dispense e quella della chiesa di San Giovanni Battista. Lo stesso Roncati ricorda bene, nello scritto sopracitato, questi come i lavori che più servivano al nuovo manicomio.

La zona delle cucine e dispense del convento era, probabilmente, quella costruita con i materiali meno solidi e pregiati e che, in particolare, non corrispondeva alle esigenze volute, come Roncati riconosceva descrivendo la situazione di disagio che ne derivava con queste parole: “Dal 1868 al 71 volsero tre annate di affanni e pericoli e disagi indicibili […] al mancare della cucina nell'istituto: onde, tre volte per giorno ad ore fisse, senza riguardo allo imperversare delle stagioni, per quasi 18 mesi, certo numero di pazzi andò pel cibo allo Spedale Maggiore, riportandone a braccia le gran caldaje”.(3) La mancanza di una cucina adatta a fornire i pasti ai pazienti era, dunque, un problema talmente grave da non permettere l'autosufficienza al manicomio, per cui vi si pose rimedio modificando radicalmente la zona. Essa venne spostata in un interrato creato appositamente; mentre ciò che restava delle vecchie cucine fu allargato per creare un nuovo luogo di degenza, provvisto di passeggio, per i pazienti. Ancora più radicale fu la trasformazione del complesso della chiesa. Quest'ultima, a differenza degli altri luoghi, era, all'epoca, in un ottimo stato di conservazione tanto che Roncati, nel suo scritto sui lavori, descrisse così la struttura: “Maschie, di schietti mattoni e fortissime furon trovate le sole muraglie della vecchia Chiesa di S.Giuseppe, nella quale però fu grande la spesa di sfacimento dell'intero soffitto, a grandi arcate e volte, in mattoni tutte quante”(4). Sono qui già anticipate le massicce operazioni fatte sulla chiesa, che venne completamente svuotata all'interno con la demolizione delle volte in mattoni e degli archi, mantenendo solo le capriate in legno del tetto. In questo modo si ottenne un ampio spazio vuoto che fu suddiviso in altezza in tre nuovi piani, creando tre solai utilizzati come dormitori. Inoltre, l'antico frontone della chiesa venne inglobato nei piani elevati con l'apertura di nuove finestre per l'illuminazione delle camerate. Infine, la parte d'ingresso del loggiato divenne guardaroba, mentre a quella finale che si congiungeva alla chiesa furono aggiunti una serie di nuovi ambienti, probabilmente altri dormitori, che chiusero anche l'ultimo lato rimasto scoperto della chiesa.

I lavori del convento delle Salesiane durarono tre anni e si conclusero nel 1871. Nel corso degli anni successivi vennero fatti altri lavori di ristrutturazione di locali interni e allargamento in zone limitrofe come, ad esempio, la chiusura nel 1879 di un gruppo di otto casette popolari che erano poste in via Sana, una stradina che costeggiava la zona sud del manicomio, che venne inglobata all'interno della proprietà provinciale. Si trattò, tuttavia, di interventi minori per nulla paragonabili al grande ciclo di ristrutturazione del triennio 1868-1871. In quei tre anni, come mostrato, fu attuato un mutamento radicale delle forme di un antico stabile religioso. Il risultato, visibile in gran parte ancora oggi, certamente portò anche all'attuazione di alcuni drastici e arbitrari interventi architettonici che, volutamente, non tenevano conto delle persistenze architettoniche antiche. L'esempio più eclatante fu l'intervento attuato sull'interno della chiesa di San Giovanni Battista che, come appena visto, venne completamente svuotato e ridistribuito su tre piani, mentre l’accesso venne spostato dal fronte al fianco nord. Anche l'innalzamento di almeno un piano di molte ali del monastero portò a un cambiamento della fisionomia dello stesso che perse, così, il suo carattere di semplice architettura monastica per passare a una fisionomia ben più massiccia.

Infine, lo sminuzzamento in più locali degli interni, la creazione di nuovi corridoi e scale per i piani e anche la trasformazione degli orti e del frutteto in spazi da passeggio contribuirono a cambiare, in maniera radicale e definitiva il volto dello stabile di via S. Isaia. Come già osservato, tali lavori, in ossequio alle teorie medico-igieniste, non seguirono una logica di rispetto e mantenimento delle forme architettoniche precedenti, ma puntarono alla loro ricostruzione al fine di creare una moderna ed efficiente organizzazione degli spazi.

Alla luce di quanto scritto si può non solo comprendere meglio la fisionomia e l'attuale struttura di questo grande complesso monumentale bolognese, ma, in particolar modo, le sue vicende che lo hanno portato ad essere uno dei luoghi più interessanti e importanti nell'ambito della storia degli stabili ospedalieri di Bologna.

 

Lorenzo Bonazzi

NOTE

1 Francesco Roncati, Ragioni e modi di costruzione ed ordinamento del Manicomio Provinciale di Bologna, Bologna, Regia Tipografia, 1891, p.3.

2 Sull'argomento, oltre al testo di Roncati, si veda., Note circa l’insediamento, origine ed evoluzione, della chiesa e del monastero femminile di San Giovanni Battista in Via Sant’Isaia, in, Relazione storica del complesso ex ospedale Roncati via S.Isaia 90 - Progetto di restauro e adeguamento normativo 1° stralcio, Azienda USL Città di Bologna, 27 giugno 2003; Francisco Giordano, Il monastero di San Giovanni Battista ' per uso di Ospedale di Cholerosi', in, “Strenna Storica Bolognese”, Bologna, Pàtron, 2002.

3 F.Roncati, Ragioni e modi, cit., p.7.

4 Ivi, p.5. Nel testo Roncati cita la Chiesa di San Giuseppe. Non ci sono riferimenti a proposito, ma trattasi, comunque, della Chiesa di San Giovanni Battista.

Foto: Anonimo, Bologna. Funerale di Enrico Panzacchi: il corteo funebre che sosta alla fine di via Sant'Isaia, 1904/ Cineteca di Bologna – Archivio Fotografico