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I discoli e le classi di persone pericolose

Documento chiave è il “Regolamento e discipline per l’amministrazione e polizia del Reclusorio pei Discoli”, all’interno del quale venivano fissate le categorie di persone da rinchiudere, e che, insieme all’Editto, ci permette di stabilire i momenti chiave dell’organizzazione e del funzionamento dell’Istituto.

Il 22 settembre 1822, la Casa di Correzione fu aperta nei locali dell’Abbadia. Nella documentazione troviamo traccia dei primi reclusi che la occuparono.

Ritengo che per Sabbato venturo possa essere tutto in ordine per ricevere i Reclusi, e porre definitivamente in esercizio il nuovo reclusorio, così non posso dissentarmi dall’impegnarla ed impiegare dal conto suo ogni suo mezzo più efficace, per corrispondere alle premure che le avvanzo, prevenendola di avere contemporaneamente ordinato al Sign. Michelini attuale Ispettore della Casa delle Scalzine di far eseguire immancabilmente nella giornata suddetta di Sabbato il passaggio di tutti i reclusi all’Abbadia, volendosi che in detto giorno sia pienamente evacuata e chiusa la predetta Casa…”.

Il trasferimento dei detenuti ad un luogo più ampio e più adatto è quindi la motivazione principale alla base dell’apertura della casa di Correzione: i primi ospiti che la occuparono erano diciassette uomini e cinque donne, in precedenza reclusi presso la «Casa delle Scalzine1»; essi vennero perciò scortati «dalla Forza armata condotti con piena quiete» nella nuova sede di via dell’Abbadia.

Ma vediamo nello specifico quali erano i reati per i quali era prevista la reclusione. Se ne individuano principalmente quattro, che il Cardinal Legato definiva “classi di persone”:

  • i figli discoli contro i quali i loro Genitori o Parenti reclamino delle coercitive misure per emendarli, premesse però le debite regolari informazioni che la Polizia dovrà farsi carico di assumere, onde verificare se meritano realmente di essere sottoposti a speciale correzione;
  • coloro, che, senza aver giustificato di avere mezzi corrispondenti, passano la maggior parte della giornata nel giuoco su i Caffè, Bigliardi, Osterie, Bettole, ed altri somiglianti luoghi pubblici, abbandonandosi all’ozio, alla dissolutezza, ed all’insolenza; e ciò quante volte le ammonizioni, ed i precetti politici non abbiano giovato a contenerli;
  • le Donne di cattiva vita e refrattarie ai Regolamenti veglianti, allorché si sarà provato che non valsero a tenerle in freno le ammonizioni, ed i Precetti di Polizia, e così pure nel medesimo caso i corruttori del costume di qualunque età, e di qualunque sesso, ed i fomentatori del libertinaggio;
  • tutti quelli finalmente, che sottoposti dalla Polizia, o per oziosità, o per vagabondaggio, o pel loro carattere torbido, o facinoroso, o per altri giusti motivi, a precetti importanti la comminatoria di essere passati al Discolato, contravvenissero ai precetti medesimi.

Nella prima metà dell’Ottocento, trovavano perciò dimora nella Casa di Correzione di Bologna, in totale promiscuità, i figli “discoli”, le donne di cattiva condotta, gli ammoniti2, tutti coloro che trascorrevano la maggior parte della giornata nelle osterie, nelle bettole e in altri luoghi della città: erano queste le categorie sociali che dovevano essere “corrette e messe fuor di stato di nuocere”.

È bene fare una prima distinzione. Nei discoli di polizia rientravano tutte quelle persone che si erano macchiate di qualche reato, come per esempio l’aver commesso un piccolo furto, l’esser sorpresi a girovagare o a prostituirsi. Tuttavia, all’interno del Discolato venivano internati anche - sotto istanza dei genitori – i cosiddetti discoli di famiglia per i quali, come si evince dalla documentazione analizzata, il rifiuto del lavoro o l’aver commesso qualche mancanza in famiglia costituivano le motivazioni più ricorrenti e più efficaci per richiedere l’istanza di internamento. Pur essendo eterogenei nella loro forma, si trattava di reati ascrivibili alla stessa matrice: una condotta deviante sia per i maschi che per le femmine. Le donne recluse venivano accusate di “sregolatezza”, di “esibire costumi troppo liberi”: qui la motivazione che portava alla reclusione era prevalentemente legata ad una condotta sessuale deviante, intendendo con essa una presunta predisposizione ad una attività sessuale promiscua o troppo libera, sulla base degli ideali ottocenteschi di verginità/purezza della donna.

Dall’esame dei fascicoli degli internati e dei verbali degli interrogatori emerge una divergenza fra quanto disposto dal Regolamento e quanto di fatto praticato. Nel Regolamento, per esempio, non viene mai enunciata la dicitura “in semplice custodia”, o “in deposito”, che invece si ritrova all’interno del Registro e dei fascicoli analizzati. Nel Discolato, infatti, venivano internati anche ragazzi e ragazze che non avevano commesso alcun reato ma che venivano internati “in deposito” per le motivazioni più disparate: laddove per esempio l’abbandono morale da parte della famiglia di appartenenza non garantiva il mantenimento del soggetto, oppure non si riusciva a trovare una sistemazione negli altri istituti assistenziali cittadini, sempre sovraffollati, come segnalava il marchese Giovan Paolo Borelli Poggiolini, direttore della Casa di correzione dalla sua istituzione fino al 1830, denunciando la difficoltà di «provvedere d’impiego, e mezzi di sussistenza quei reclusi che privi di parenti, e di privati appoggi da lungo tempo si trovano racchiusi, e bensì anco lo furono al solo oggetto di toglierli alla miseria»3. Altra eccezione al Regolamento riguardava il fatto che questi internati non venivano assoggettati alla solita disciplina, come si evince da quanto sotto riportato:

faccio accompagnare col mezzo del Signor Commissario del quartiere di S.Giovanni in Monte a codesto Stabilimento per ordine di S. E. V. il S. Cardinale Legato… certa A. Giustini perché sia ivi ricoverata e provveduta di lavoro senza assoggettarla alla disciplina di vigore, ma però senza permetterle di uscire neppure di giorno. Imperocchè quantunque non si rinchiuda in codesta casa coattivamente, ma però spontanea sua dimanda non avendo tetto ove ripararsi, tuttavia la vita dissoluta e libertina condotta dalla medesima la rendono meritevole di custodia finchè non siansi indotti i di lei parenti a prenderne dovuta cura…”4.

Il Regolamento non faceva alcun cenno alla distinzione tra adulti e minori, per la quale bisognerà attendere il 22 settembre 1842, data in cui fu emanata un’apposita Circolare della Legazione “con la quale dispone che i detenuti […] minori dell’età di anni 18 debbano custodirsi in questa casa separatamente dagli adulti”5. Il Reclusorio, con la sua grande varietà di categorie di internati, estendeva la parola “discolo” a tutti i reclusi, anche agli adulti. Di conseguenza non vi era alcuna distinzione tra la correzione dei minorenni e la pena degli adulti, se non nell’intensità e nella durata, proporzionate alla mancanza commessa. Nonostante la chiara volontà espressa dalla Legazione, la proposta venne lasciata cadere: non c’è traccia, infatti, di un’effettiva separazione per età dei reclusi.

Nel suddetto Fondo sono presenti molte centinaia di fascicoli, uno per ogni singolo detenuto. Alla quantità di materiale non corrisponde un’equità statistica: nel senso che le procedure, a parte i procedimenti di ingresso e di rilascio, divergono l’una dall’altra. In ogni caso, se è difficile stabilire un adeguato rapporto fra la motivazione alla base dell’internamento e la pena che viene applicata (durata delle detenzione, etc.), l’ampio numero di casi consente di fare delle approssimazioni sulle motivazioni e sulla quantità dei reati che vengono riportati alla e dalla polizia. La polizia otteneva gli internamenti coerentemente con le decisioni politiche di controllo sul territorio e interveniva nella casa di correzione con una pluralità di funzioni: essa poteva istituire per prima le pratiche di internamento (la polizia svolgeva un ruolo assolutamente rilevante nella procedura di internamento, misura a tutti gli effetti di ordine pubblico); gestiva inoltre i trasferimenti dei reclusi tra i diversi luoghi di reclusione. Dall’incrocio delle fonti della casa di correzione con quelle della Direzione generale della polizia è emersa una costante. Molti sono i casi di persone che solo per il fatto di essere considerate sospette vengono prelevate dalle loro abitazioni e trasferite nell’istituto; sono, infatti, molteplici i casi in cui il recluso non ha consapevolezza del motivo della reclusione. T. Gaetano segue un itinerario da questo punto di vista del tutto paradigmatico: “la sesta [volta in cui è stato arrestato] e stato che saranno cinque mesi circa che di notte in mia Casa fui preso dalla Forza e condotto a S. G. in Monte e poscia tradotto in questa Casa senza mai esser esaminato, e ignoro affatto il motivo del mio arresto”6 .

La durata della detenzione poteva essere indicata, in parte, dalla stessa amministrazione e in parte, la pena da scontare poteva essere modificata in base alla condotta tenuta dal detenuto all’interno del Reclusorio. Sui reclusi gravavano gli oneri della prigionia7, quantificati in “baj. 14.2 il giorno per persona”. Tuttavia, ottenendo la dichiarazione di “miserabile”, veniva data la possibilità al recluso di rimanere a spese del Governo. Il Direttore svolgeva indagini, tramite la Polizia, per accertare l’indigenza della famiglia ed in caso positivo concedeva la reclusione gratuita8.

Continua: L’ingresso nel Reclusorio

Rossella Raimondo


1 Con questo nome ma anche con quello di Reclusorio delle Scalzine, fu istituito, nel 1820, un luogo destinato alla reclusione di giovani discoli meritevoli di correzione, internati su istanza dei loro genitori. Posto in via Centro Trecento al civico 4, era stato dal 1742 al 1805 luogo di residenza delle suore terziarie Scalze (dette appunto «le Scalzine»). Esso rappresenta la sede precedente del “Reclusorio pei discoli”. Sappiamo, infatti, che divenuto troppo ristretto il locale, nel 1822 i reclusi furono trasferiti nell’ampio monastero dell’Abbadia, ove a partire dal 1822 avviava il suo funzionamento la Casa Provinciale di Correzione.

2 Le ammonizioni ed i precetti rappresentavano dei provvedimenti disciplinari che rientravano nelle competenze di Polizia. Essi venivano rivolti a persone che avevano commesso infrazioni di vario genere: si trattava del divieto di frequentare un certo uomo, di uscire di casa nelle ore serali, di disubbidire ai propri genitori, e ancora i divieti di, frequentare le osterie, le bettole. I comportamenti dei soggetti presi di mira erano spesso al limite tra il peccato e il reato. Pertanto l’intervento non poteva che limitarsi alla sola correzione morale. Il fine, dunque, era quello di esortare quegli individui dalla condotta deviante al rispetto delle regole morali. In questo senso, essi fungevano da vero e proprio “avvertimento”: l’individuo che li riceveva avrebbe dovuto garantire di non dar seguito al comportamento dissoluto e riprovevole, nel caso contrario sarebbe stato internato nel Reclusorio.

3 ASBO, Legazione, Atti generali, 1824, titolo XX.

4 Giustini Angiola, data di ingresso 2 maggio 1827.

5 ASPB, Casa provinciale di correzione, b. 151.

6 ASB, fascicolo Torreggiani Gaetano, b. 29.

7ASPB, “Misura del testatico che a titolo di Dozzena, si dovrà pagare da quelle famiglie che vengono abilitate a colocare qualche loro individuo a correzione”, b. 51.

8 Si veda, fra i molti esempi, in ASPB, il fascicolo relativo alla reclusa Corelli, “poiché dalle informazioni assunte mi risulta l’assoluta miserabilità del Sign. Arcangelo Corelli padre della reclusa, l’autorizzo a dispensare il primo del pagamento della stabilita dozzina ed a far corrispondere alla seconda i soliti alimenti a carico del governo”.