RISME Ricerca Idee Salute Mentale Emilia-Romagna

Correggere e riplasmare: Il “Reclusorio pei discoli” di Bologna

L’otto settembre 1822, dopo qualche mese dalla pubblicazione del “Regolamento e discipline per l’amministrazione e polizia del Reclusorio pei Discoli”, nei locali dell’Abbadia1 (struttura, oggi, adibita ad ospedale militare), avviava il suo funzionamento la Casa Provinciale di Correzione, meglio conosciuta come “Reclusorio pei discoli” o “Discolato”; istituita per volontà del Cardinal Legato Giuseppe Spina, figura cardine, tra il 1818 e il 1827, nell’organizzazione della politica assistenziale del governo bolognese.

Nello stesso complesso avevano sede anche la Casa provinciale di Lavoro e la Casa di Pubblica Beneficenza2.

Le ordinanze del Cardinal Legato risentivano delle preoccupazioni per una città afflitta da una dilagante povertà. Il quadro dell’assistenza bolognese era percorso da una rete di molteplici iniziative che rendono conto di quanto sia stata impegnativa a Bologna la battaglia antipauperistica. Già a partire dalla prima decade dell’Ottocento la situazione bolognese era divenuta talmente critica da richiedere provvedimenti emergenziali. Tra questi ricordiamo nel 1814 il ripristino della facoltà di mendicare3 e nel 1815 la distribuzione di minestra al prezzo politico di 3 bajocchi4 a porzione5. A questi si aggiunse nell’anno 1817 la riapertura della Casa di Ricovero, all’interno della quale venivano accolti gli inabili al lavoro e la Casa di Industria dove trovavano occupazione coloro che ne erano privi.

Il problema delle masse di vagabondi che pullulavano le vie di Bologna era però sempre in attesa di una soluzione definitiva e poneva il governo pontificio di fronte a gravi problemi di ordine morale e sociale. La preoccupazione delle autorità, secondo uno stereotipo già presente in quegli anni, sembrava soprattutto legata al timore che l’allargamento del fenomeno-povertà fosse destinato ad ingrossare le fila dei delinquenti, con l’incremento numerico di oziosi di vagabondi; da qui l’adozione di strumenti e strategie, volti al controllo degli atteggiamenti “pericolosi” della popolazione povera e marginale.

Il Diario ecclesiastico dell’anno 1818 ci fornisce una classificazione della popolazione bolognese dell’anno 1816, distribuita sul territorio nel seguente modo6 :

  • nobili 1.805
  • benestanti 2.975
  • mediocri 7.941
  • operai 19.327
  • bisognosi 32.783

È su questi ultimi che dobbiamo concentrare la nostra attenzione: i dati relativi alla popolazione bisognosa sono quelli quantitativamente più numerosi, e rappresentano il 50%, che l’anonimo commentatore del diario definisce “meschini, oziosi, vagabondi e questuanti”.

Bologna rappresentò, inoltre, una città in cui l’acuirsi del pauperismo si accompagnò all’esplodere di tensioni sociali che periodicamente sfociavano in tumulti popolari; venivano perciò presi di mira i perturbatori e le persone politicamente sospette.

Di fronte a tale grave ed esplosiva situazione il comportamento delle autorità bolognesi, a cui ovviamente premeva il mantenimento e il controllo dell’ordine pubblico, risultò finalizzato sia alla prevenzione che alla repressione dei reati, secondo una tradizione che, a Bologna, esisteva dalla prima metà del Settecento7. Uno dei primi esperimenti che adottò la pratica dell’internamento e dell’isolamento era stato applicato dal Cardinal Borromeo e dal suo collaboratore e successore Pier Donato Cesi (allora vice Legato) nell’Opera Mendicanti, istituita nel 1574 per provvedere al sostentamento dei “poveri di vera, e non finta mendicità”. Le finalità dell’opera subirono trasformazioni nel corso del tempo. Nel nostro discorso, viene ad assumere particolare rilevanza, la sezione, fatta costruire nel 1732, all’interno della Casa di correzione della Pietà, destinata a figli disobbedienti, discoli, giovani traviati, pazzi e donne di malaffare “seppur con pagamento di una limitata dozzena”.

Le ragioni dell’iniziativa, ad opera del cardinal Legato Giuseppe Spina, stanno nelle prime righe dell’Editto8:

«l’Ozio sorgente d’ogni vizio, spingendo purtroppo a mano a mano coloro, che vi si abbandonano, ai più gravi delitti, esigeva in questa popolosa Città, e Provincia un pronto riparo, che allontanasse dalla Società i traviati, e rinchiusi in un apposito Stabilimento venissero sottoposti ad un regolato tenor di vita, in cui le morali cristiane istruzioni unite ad un giornaliero travaglio fossero valevoli a correggere e migliorare il costume, e renderli utili e pacifici Cittadini»9.

Certamente l’ingresso nel Discolato trovava giustificazione nelle circostanze e nella natura dei reclusi. L’ozio era visto come un grave vizio morale, così come quello di vagabondare, di trascorrere del tempo nelle osterie dandosi ai piaceri e ai perditempo. Ma leggiamo chiaramente - nelle parole del Cardinal Legato- il nesso che legava l’ozio “sorgente d’ogni vizio” ai “più gravi delitti”. Si capisce bene la volontà, sottointesa da questo stralcio, di allontanare gli individui dalla strada, ricondurli nel Reclusorio e farne di essi il perno di un miglioramento morale della società. Un’eco delle aspettative salvifiche riposte nell’internamento risuonava, infatti, soprattutto nei vantaggi che l’intera città avrebbe potuto trarre dall’educazione dei reclusi; importante allora fare in modo che l’istituto fosse caratterizzato da tratti segreganti e disciplinanti.

Appare chiara l’indubbia funzione di prevenzione generale e, al contempo, di rieducazione che la segregazione, all’interno del Reclusorio, veniva ad assumere:

«essendo lo Stabilimento istituito per correggere e mettere fuor di stato di nuocer coloro, che quantunque non prevenuti di positive delinquenze punibili dai Tribunali Ordinari, pure col loro tenore di vita rendonsi meritevoli di censura e di coercizione, e mettono il Governo nel positivo diritto di sottoporsi a congrue misure, onde prevenire i delitti e garantire l’ordine pubblico»10.

Per gli anni considerati si registrano non poche sentenze ai limiti del lecito: sarebbe a dire comportamenti ritenuti come reati minori e che per la loro entità non potevano essere puniti dai tribunali ma che comunque destavano allarme per la loro portata perturbatrice. Le parole del Cardinal Legato esprimevano, in primis, la volontà di liberare le strade della città dalla presenza di tutti coloro che potevano rappresentare un problema di ordine sociale: vagabondi, donne dedite al meretricio, persone che trascorrevano le notti senza alcun rifugio nelle osterie e nelle bettole. Si rendeva così pubblica la presa di coscienza dell’importanza del fenomeno e del pericolo che queste “classi di persone” potevano rappresentare all’interno della città. A determinare la reclusione era anche la loro presunta pericolosità, e non solo l’entità del reato e le sue modalità di attuazione.

Venivano perciò sottolineati con particolare enfasi i compiti di polizia. Nel contesto dei significativi cambiamenti avvenuti nel settore della giustizia, durante la turbolenta fase della Restaurazione, assumono rilevanza le modalità e le tecniche di controllo della popolazione urbana, in altri termini, quell’insieme di strumenti e di procedure finalizzate ad attuare un controllo continuativo sugli individui sospetti. Sappiamo così che la polizia percorreva, durante la notte, le vie cittadine internando nel Reclusorio tutti coloro che si riversavano nella città “dopo l’Ave Maria”. Nonostante l’esiguità numerica delle forze di polizia, erano tuttavia previste molteplici figure che integravano l’apparato di controllo e che spesso avevano il compito di tenere informate le autorità di tutto ciò che accadeva all’interno della città11.

In città c’erano alcuni luoghi maggiormente presi di mira dalla polizia. Tra i più noti rifugi dei vagabondi bolognesi vi erano i caffè e le osterie (della Rosa e della Coroncina in Pietralata, del Pratello, del Leoncino, della Colombina, della Scimmia, delle Tre Maschere, della Santa Maria, dei Quattro) dove venivano compiute sistematiche incursioni, per sorprendere coloro che vi trascorrevano la maggior parte della giornata. Così nel caso di L. Giuseppina, la quale nel verbale di interrogatorio alla domanda del Commissario, che le chiede di esplicitare le motivazioni per le quali era fuggita da casa della zia, affermava: “perché la medesima mi voleva battere, per essermi presa tutta la giornata fuori di Casa avendomi mandato dal Guardiano delle Muratelle a portarci della bavella, e quando tornai a casa mi venne incontro con le molette, ed io fuggii di Casa, essendo andata da certa Catterina, che non so come si chiama, la quale mi condusse nell’Osteria del Pratello e circa la mezza notte venne la pattuglia la quale mi arrestò, e mi tradusse nella carceri di san Giovanni in Monte..”12. L’identificazione delle Osterie come luoghi del male, luoghi di perdizione e di peccato, è ricorrente nei documenti conservati nel suddetto Fondo, giacente presso l’Archivio Storico Provinciale di Bologna. È lì che ci si abbandonava al vizio e si trovavano i compagni con i quali condividere ozio e piaceri .

Rossella Raimondo

Continua: I discoli e le classi di persone pericolose

NOTE:

1 Antica chiesa, ritenuta la prima sede episcopale di Bologna e divenuta dopo il mille, nel sec. XII, abbazia benedettina, sotto il titolo dei Ss. Naborre e Felice [Rivani 1968, 67ss.]. Proprio dalla chiesa prese il nome la strada che collega le vie San Felice e Riva di Reno, con un toponimo che si conserva tuttora. Nel 1798 sul monastero si abbattè la soppressione napoleonica e divenne dapprima caserma e poi ospedale militare. Nel 1817 l’ospedale dell’Abbadia fu destinato a lazzaretto per i colpiti da febbre petecchiale. Debellata l’epidemia, nel 1822 nell’ex monastero si adunarono i discoli, per cui l’edificio prese il nome di Discolato. Cfr. G. Rivani, L’Abbadia dei Ss. Naborre e Felice ora Ospedale Militare di Bologna, in Strenna storica bolognese, XVIII, 1968.

2 Si trattava di un edificio di notevoli dimensioni, situato tra gli attuali via dell’Abbadia e vicolo Otto Colonne, un’area già anticamente compresa nel monastero.

3 ASBO, Stampe governative, vol. 100, n.153.

4 Il bajocco era una moneta di rame dal valore di un centesimo di scudo romano; dal 1867 moneta di bronzo dal valore di 5 cent. di Lire pontificie. Cfr. A. Martini, Manuale di metrologia, ossia misure, pesi e monete in uso attualmente e anticamente presso tutti i popoli, Torino, s.e., 1883.

5 ASBO, ivi, vol. 104, n. 169.

6 A. Benati, Storia di Bologna, Bologna, Alfa, 1978.

7 Sull’argomento tra le numerose opere cfr. G. Calori, Una iniziativa sociale nella Bologna del '500: l'Opera mendicanti, Bologna, Azzoguidi, 1972; Gli *archivi delle istituzioni di carità e assistenza attive in Bologna nel Medioevo e nell'età moderna: atti del 4. Colloquio Forme e soggetti dell'intervento assistenziale in una città d'antico regime:Bologna, 20-21 gennaio 1984, Bologna, Istituto per la storia di Bologna, 1984, pp. 91-96.

8 Editto, emanato il 18 luglio 1822, documento ufficiale con il quale si istuiva l’erezione del “Reclusorio pei discoli”

9 Il primo divieto dell’Editto prefigurava altresì il programma dell’istituto correzionale, articolato su tre piani: lavorativo (“un giornaliero travaglio” regolare lavoro da svolgere all’interno del Discolato), religioso (gli “esercizi di pietà”, che consistevano nell’assistere “al servizio divino, ascoltando la Predica, e facendo le debite prescritte preghiere”) e disciplina del corpo (“un regolato tenor di vita”). Nel Reclusorio l’intera giornata era scandita dall’alternarsi di questi tre livelli di attività. ASBO, Bandi, proclami, avvisi, leggi, decreti, stampe governative, 121. 1 maggio-31 luglio 1822, nr. 257. Editto sul Reclusorio pei Discoli, e sul metodo di Procedura contro i Precettati (29 luglio 1822)

10 ASBO, Bandi, proclami, avvisi, leggi, decreti, stampe governative, 121. 1 maggio-31 luglio 1822, Regolamento e discipline per l’amministrazione e polizia del Reclusorio pei Discoli, all. al nr. 257. Editto sul Reclusorio pei Discoli, e sul metodo di Procedura contro i Precettati (29 luglio 1822).

11 L’articolo 3 del Regolamento prevedeva quanto segue: “..Nella Comune di Bologna la Polizia farà esercitare una tale vigilanza agli Agenti a ciò deputati, ai quali saran passate le note, e date all’uopo le occorrenti istruzioni; e nelle altre Comuni della Provincia i rispettivi Gonfalonieri sorveglieranno le persone sospette del proprio Comune, e saranno tenuti ne’ loro bollettini Politici, ed anche con rapporti speciali quando, il bisogno li richieda, d’informare la Polizia di tutte queste emergenze, che meritassero particolare considerazione, od avvertenza, onde poter comparire all’uopo i necessari provvedimenti”.

12 Lollini Giuseppina, dichiarazione del 22 ottobre 1826.