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Biografia di Gian Franco Minguzzi (2/4)

1963. Il primo contributo alla riforma psichiatrica

Il primo contributo di psichiatria sociale pubblicato da Gian Franco Minguzzi è scritto a quattro mani con Edelweiss Cotti. Il rapporto tra i due psichiatri è nato nei corridoi del Roncati: il futuro direttore di Villa Olimpia è stato infatti assunto come assistente in manicomio nel 1951, due anni prima dell'assunzione di Minguzzi. L'articolo, Lineamenti per una riforma dell'assistenza psichiatrica, presentato da Cotti nel marzo del 1963 al Simposio interregionale della riforma psichiatrica (Bologna, 10 maggio) e pubblicato sul numero estivo della Rivista di sicurezza sociale, dà spazio, per la prima volta in Italia, alla politica di settore. Ispirandosi all'esperienza francese i due autori propongono un programma di intervento per la città di Bologna (che sarà sperimentato tra il 1964 e il 1967 con il progetto di Villa Olimpia) basato sulla territorializzazione dei servizi e sul lavoro d'équipe.

Per le mutate condizioni politico-sociali-economiche, la coscienza dei propri diritti è oggi infinitamente maggiore di quanto non lo fosse all'inizio del secolo; ed una misura limitatrice della libertà è molto più drammatica per un cittadino del 1963 che per quello del 1904.1

Partendo da presupposto che la malattia mentale sia curabile nella maggior parte dei casi Cotti e Minguzzi ritengono improrogabile una radicale revisione dell'assistenza psichiatrica, ancora legata ai criteri della legge del 1904, basata sul concetto di difesa sociale piuttosto che sull'idea di curabilità del paziente.

Questa nuova visione impone vaste e radicali riforme: della legge, dell'opinione pubblica, delle istituzioni psichiatriche. Ognuna di esse è urgente ed ugualmente importante; ma mentre le prime due esigono un'azione di ampio respiro, che valichi i limiti locali e si proietti nel futuro, la ristrutturazione delle istituzioni psichiatriche può essere fatta in sede locale, in buona parte anche nell'ambito dell'attuale legislazione.2

 

1963. L'impegno nelle Commissioni per la progettazione di complessi psicologici e psichiatrici delle Amministrazioni provinciali di Ravenna, Parma e La Spezia

Dal 1963 Gian Franco Minguzzi entra a far parte delle Commissioni per la progettazione di complessi psichiatrici e psicologici delle Amministrazioni provinciali di Ravenna, Parma e La Spezia. Minguzzi è consapevole che l'apertura alla territorializzazione è un passaggio imprescindibile al fine di raggiungere traguardi più elevati (lo smantellamento del manicomio sopra tutti) e propone spesso la sua posizione alle amministrazioni provinciali quale schema organizzativo dei servizi. Nel caso particolare di Ravenna, nella relazione della Commissione di studio per la sanità mentale degli adulti, presentata all'interno dei Lineamenti di un piano organico dell'assistenza psichiatrica in provincia di Ravenna, si evince l'influenza del pensiero di Minguzzi riguardo l'importanza dell'assistenza territoriale.

La Commissione [...] ritiene di non poter limitare il proprio compito al solo problema che le è stato esplicitamente posto, ma di dover abbracciare il tema assai più ampio di tutti i servizi assistenziali psichiatrici, ospedalieri ed extra-ospedalieri [...] Con essi, e solamente con essi si può sperare di svolgere un efficace opera preventiva, di rapida cura e recupero, soprattutto se opportunamente organizzati in quella che si vuole chiamare l'assistenza a “settore”.

Diversamente dal progetto iniziale che prevedeva la costruzione di un ospedale psichiatrico, di un istituto per frenastenici e di un istituto psicopedagogico, l'Amministrazione provinciale di Ravenna deciderà di inserirsi nella linea dei servizi territoriali e di utilizzare i finanziamenti statali per la creazione di vari Centri d'igiene mentale, dislocati sul territorio.


La carriera universitaria

Il 18 novembre 1968 Gian Franco Minguzzi viene nominato professore incaricato alla cattedra di Psicologia nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Bologna dove, assunto dal 1964 in qualità di libero docente, il suo corso era inserito tra i fondamentali del piano di studi della laurea in Filosofia. Gli argomenti toccati in quei primi anni concernono lo sviluppo del metodo sperimentale nello studio delle principali funzioni psichiche, i principi della teoria della Gestalt, gli aspetti dell'associazionismo e della psicologia della forma nello studio della percezione, dell'apprendimento e del pensiero, e anche il pensiero di Freud.

Fin dagli inizi della sua attività accademica Minguzzi ha prestato particolare attenzione agli aspetti della psicologia dei gruppi: parte del corso dell'anno accademico 1964-65, ad esempio, è dedicato alla metodologia della ricerca e agli assunti teorici in psicologia sociale con particolare riferimento ai problemi della dinamica dei gruppi. Dal 1968 si avvicina nello specifico alla metodologia di Kurt Lewin e studia le diverse declinazioni dell'individuo all'interno della società. Come chiarirà nel volume Dinamica psicologica dei gruppi sociali (1973) facendo riferimento alla teoria lewiniana di campo, Minguzzi considera la psicologia di gruppo alla luce delle dinamiche di potere e all'interno dei rapporti di dominanza/sottomissione, evidenziando tre ruoli tipici: il leader, il membro “normale” e l'escluso. Il lavoro si inserisce perfettamente nel contesto storico e culturale del momento: sono gli anni della contestazione studentesca e delle lotte operaie, l'aspirazione al rinnovamento è da stimolo allo studio e alla comprensione della società, agli approfondimenti della stessa psicologia sociale. Minguzzi è convinto che l'innovazione sia un vettore fondamentale del cambiamento sociale, ma è allo stesso modo intransigente sulla necessità del rigore scientifico nell'osservazione dei fatti.

Dimessosi dall'impegno con Psichiatria Democratica nel 1977, Minguzzi ritorna con vigore alle occupazioni di studio e di insegnamento. Nel 1974 ha vinto il concorso nazionale per la cattedra di Psicologia, diventando il primo docente ordinario di quell'insegnamento nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'ateneo bolognese.

Nell'articolo presente nel volume di Ernesto Venturini, Il giardino dei gelsi (1979), Minguzzi esprime tutto il suo rammarico e la sua desolazione riguardo la situazione in cui versa l'università italiana del periodo.

Con la grande ondata del '68 abbiamo smantellato alcuni miti, o ci siamo illusi di farlo; forse abbiamo operato solo una forma di Verneinung; in ogni caso non siamo stati capaci di andare oltre il momento distruttivo. E adesso ci troviamo di fronte o il disinteresse o l'irrazionalismo. È scoraggiante constatare che un discorso ha tanto più successo quanto più è fumoso e asistematico.3

Dopo aver proposto per anni nelle lezioni gli argomenti della nuova psichiatria, presentando agli studenti le tesi di Laing e Foucault accanto alle esperienze francesi e italiane, ritorna agli argomenti della psicologia cognitiva, con i quali intende trasmettere ai giovani la fondamentale importanza dello studio rigoroso e sistematico.

Adesso sono tornato agli argomenti classici della psicologia: la percezione, il pensiero, la memoria. Non li considero gli unici possibili; rappresentano però il terreno in cui mi sento più preparato a dimostrare la necessità di uno studio rigoroso e sistematico. Penso, spero con questo di lavorare (se l'università funzionasse) per una razionalità nella quale credo ancora con fiducia illuministica.4


La psichiatria di settore (1)

Tra il 24 e il 26 aprile 1964 si tiene al Teatro la Ribalta di Bologna il Primo convegno nazionale di psichiatria sociale. Lo scopo ultimo e effettivo delle tre giornate di discussione, indette dalla provincia di Bologna e dall'Unione regionale delle province emiliane con l'adesione del Ministero della Sanità e dell'A.M.O.P.I., è quello di pronunciarsi in merito al settore. Per la prima volta viene presentato, su scala nazionale, il problema della psichiatria intra ed extra-ospedaliera, intesa come psichiatria di comunità5. Ospiti d'eccezione sono Georges Daumézon e Henri Duchêne, i due esponenti francesi più in vista della nuova politica, chiamati da Mario Cénnamo, assessore alla Sanità della provincia di Bologna, nonché professore di Medicina sociale e organizzatore del convegno. La proposta della settorializzazione trova opposizione nei sostenitori del manicomio (che in questa particolare occasione non viene mai messo pienamente in discussione), i quali si esprimono in critiche contrarie e tra loro contrastanti. Nel tentativo di risolvere l'impasse Minguzzi interviene proclamandosi ancora una volta favorevole al progetto francese:

1) "In fondo è quello che abbiamo già generalizzato”, “Le cose vanno già abbastanza bene così come sono”.

2) Il settore è tanto difficile a realizzarsi, o addirittura tanto utopico, che non vale neanche la pena di parlarne”. Ora mi pare inevitabile il dire, a questo punto, “mettiamoci d'accordo”. La proposta settoriale è superflua perché con gli ospedali e gli ambulatori attuali i problemi sono già risolti? Oppure, è assurdo pensare a realizzazioni cui solamente nazioni molto più avanzate della nostra possono aspirare? Mettiamoci d'accordo, anzi, mettetevi d'accordo, perché per conto mio sono già convinto dell'infondatezza dell'una e dell'altra posizione […] In definitiva, se le obiezioni al settore sono tutte qui, e se esse non nascondono resistenze di altro genere, più difficili da confessare, allora credo che la battaglia per il settore sia già vinta, almeno tra gli psichiatri.6

Minguzzi è perfettamente consapevole che il settore non è, né deve essere, la soluzione al problema dell'assistenza psichiatrica, tuttavia esso si presenta quale passo obbligato verso la realizzazione di risultati più radicali. È necessario un cambiamento, ma è altrettanto fondamentale che avvenga per gradi.


1965. Minguzzi trait d'union tra Parma e Gorizia

Pur rimanendo sempre dietro le quinte, dalla seconda metà degli anni Sessanta Gian Franco Minguzzi inizia a muovere i primi passi nel campo dell'assistenza psichiatrica. Nel 1965 Mario Tommasini, segretario della sezione comunista del quartiere Parma centro, vicepresidente del comitato cittadino e da poco assessore alla Sanità della Provincia, lo chiama per entrare a far parte della Commissione tecnico-sanitaria per lo studio dei problemi relativi all'assistenza psichiatrica. Con Minguzzi ci sono: Mario Cénnamo, Marino Bosinelli, Fabio Visintini (cattedratico della Clinica neuropsichiatrica di Parma) e Luigi Tomasi (direttore dell'ospedale psichiatrico di Colorno).7

L'obiettivo di Tommasini, sconvolto dalla prima visita al manicomio provinciale di Parma, è quello di non accettare il compromesso: secondo l'assessore della Sanità della Provincia l'unica soluzione è lo smantellamento del manicomio e il ritorno a casa dei pazienti; i miglioramenti architettonici o funzionali non sono in alcun modo utili a ridare ai malati la dignità di cui sono stati privati.

Mario Tommasini trova immediata comprensione e appoggio in Minguzzi che al termine della prima riunione della Commissione indirizza l'assessore all'esperimento goriziano di Basaglia, rendendosi così fautore del rapporto che nascerà tra Parma e Gorizia.

Fu in quel periodo che Gianfranco Minguzzi mi parlò di Basaglia e di quanto stava facendo, dal '61, nell'ospedale psichiatrico di Gorizia […] Dalle parole di Minguzzi sembrava che trattando diversamente il malato la stessa malattia mentale si modificasse, dimostrando che poteva e doveva essere affrontata in altro modo.8


1967. L'alleanza con gli obiettivi di Basaglia

Gian Franco Minguzzi e Franco Basaglia si erano conosciuti nei primi anni Sessanta, quando Basaglia aveva iniziato a far parlare di sé per il progetti rivoluzionari che stava mettendo in pratica nella città isontina al confine con la Jugoslavia. Le differenti esperienze dei due psichiatri si congiungono ed esplicano nel 1967 in un articolo pubblicato su «Recherches», scritto a sei mani in collaborazione con Franca Ongaro Basaglia, dal titolo Exclusion, programmation et intégration. Da questo momento Minguzzi e Basaglia iniziano a lavorare a stretto contatto con l'obiettivo comune di una riforma psichiatrica che porti alla definitiva chiusura dei manicomi.

Il quadro che i tre autori presentano ha lo scopo di demistificare le ideologie concentrazionarie attraverso un disegno di affrancamento e liberazione volto a restituire la società al malato e il malato alla società. Diversamente da quanto proposto nell'articolo con Cotti del 1963, non è più possibile parlare soltanto di ristrutturazione e umanizzazione delle istituzioni psichiatriche: la roccaforte ospedaliera non fa che aumentare, confermare e calcificare l'esclusione del malato dalla società dei sani e dei produttivi. Il problema del mentale dunque non è più, ammesso che lo sia mai stato, risolvibile con l'allontanamento dell'individuo deviante dal gruppo dei “normali”, al contrario solo nuovi approcci di psichiatria sociale e – soprattutto – la rimozione degli ostacoli architettonici possono permettere il riavvicinamento delle due comunità e il superamento ideologico della necessità di escludere. Gli autori sottolineano anche che comprendere il problema del mentale nella rete della società implica un mutamento di rotta: dirimente è mettere fra parentesi la malattia mentale in sé, allontanarsi dalla rigida visione scientifica e aprirsi a caratteri più specificatamente sociologici e politici.

Nemmeno la politica di settore è la soluzione. Il manicomialismo è innanzitutto destorificazione del paziente: l'antimanicomialismo non può che partire dalla ristorificazione dello stesso. Per riuscire in questo è tuttavia necessaria una società matura, disposta a mettere in discussione alcune tra le sue strutture portanti, in particolare il mito del benessere e il fine supremo della produttività. Una società che permetta al malato di tornare alla sua abitazione, di poter trovare un lavoro, nella quale «possa trovare un ruolo, una funzione che giustifichi – davanti a se stesso – la sua presenza nel mondo e che gli confermi il suo rifiuto a vivere come “capro espiatorio” della famiglia prima e della società poi»9.

Alice Graziadei

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NOTE

1Cfr. E. Cotti, G.F. Minguzzi, Lineamenti per una riforma dell'assistenza psichiatrica, in «Rivista di sicurezza sociale», 1, 3 (luglio – settembre), 1963, pp. 495-507.

2Ibidem.

3Cfr. G. F. Minguzzi, Per un'alternativa al sapere psichiatrico, in Il giardino dei gelsi, (a cura di) Ernesto Venturini, Torino, Einaudi, 1979, p. 266.

4Ivi, p. 267.

5Cfr. V. P. Babini, Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento, Bologna: Il Mulino, 2009, p. 191.

6Cfr. AA. VV., Processo al manicomio. Atti del Convegno Nazionale di Psichiatria Sociale, aprile 1964, Roma, Ed. Leonardo, 1966, pp. 255-256.

7Cfr. V. P. Babini, Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia. Una storia del Novecento, Bologna, Il Mulino, 2009, p. 260.

8Cfr. F. Ongaro Basaglia (a cura di), Vita e carriera di Mario Tommasini burocrate proprio scomodo, narrate da lui medesimo, Roma, Editori Uniti, 1991, p. 10.

9Cfr. F. Basaglia, Scritti, I, 1953-1968. Dalla psichiatria fenomenologica all'esperienza di Gorizia, Einaudi Paperbacks, 1981, p. 421.