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Mente e sistema nervoso dei «belligeranti»: gli studi di psichiatria, neurologia e psicologia

È stato scritto che, con l’avvento della prima guerra mondiale, il lavoro di ricerca degli psichiatri che fino ad allora si conduceva nei manicomi e nelle università veniva spostato in trincea, e che fu chiaro fin dal principio che da quella ricerca sarebbe scaturito qualcosa d’importante1. E non solo per la psichiatria, anche per neurologia e psicologia – per citare solo le discipline che interessano il presente lavoro – la guerra rappresentò quell’eccezionale occasione di studio di cui si diceva.
È opportuno avere ben presente che, cambiando il luogo di osservazione (dal manicomio alla trincea), cambiava anche il suo “oggetto”: non più un “semplice” malato, ma un soldato; e ancor di più: il soldato italiano mentre conduce una guerra di liberazione contro il «secolare oppressore». Di questi «eroi del dovere» gli scienziati della mente si trovarono a dover giudicare i comportamenti, spesso così apparentemente poco eroici (angosce, paure, incubi, tentativi di fuga e diserzione, simulazioni, veri e propri impazzimenti). Giudizio morale e valutazione psicologica tendevano facilmente a con-fondersi.
«Il soldato italiano non è un vile; può essere ammalato», puntualizzò Bennati nell’articolo «La etiologia determinante nella nevrosi traumatica da guerra» pubblicato sulla Rivista sperimentale di freniatria nel 1916. La paura e il desiderio di fuga divenivano sintomi di una patologia, e questo era, per così dire, rassicurante. Però poi – gli psichiatri si affrettavano a precisare – il soldato, anche se ammalato, non è un alienato; da cui la preoccupazione – anche, o forse soprattutto, ideologica – per l’eventuale invio dei militari nei manicomi pubblici (va anche ricordato che i medici che lavoravano nelle zone di guerra o negli ospedali militari delle retrovie, e dunque anche nelle strutture civili allora requisite, avevano assunto il grado di ufficiale, divenendo quindi a tutti gli effetti parte integrante dell’autorità sanitaria militare).
In ogni caso, che il soldato al fronte potesse ammalarsi, poneva una questione cruciale: era la guerra che faceva ammalare? La risposta avrebbe determinato conseguenze teoriche e pratiche piuttosto importanti.
A livello pratico, si trasferiva nella formula “la malattia dipende / non dipende da causa di servizio” che veniva utilizzata per concedere, solamente in caso affermativo, la pensione d’invalidità al soldato riformato.
A livello teorico, invece, si trattava di riconoscere o meno il ruolo patogenetico delle emozioni, la possibilità, cioè, che le emozioni – in quanto fenomeno squisitamente psichico sine materia – potessero causare un disturbo mentale, a prescindere da lesioni dell’organo cerebrale. La psichiatria italiana, da sempre connotata in termini fortemente organicistici, si mostrò anche in questo frangente poco propensa ad allargare i propri orizzonti, e, pur ammettendo che alcuni – rarissimi – casi di disturbo mentale erano prodotti veramente dalla guerra (considerando questa come un complesso di fattori eziologici quali emozioni, fatiche, intossicazioni, ecc.), prontamente affermava che le emozioni null’altro avevano fatto che determinare uno squilibrio organico, e che era stato tale squilibrio organico, a sua volta, ad originare la malattia; in questo modo – che Sante De Sanctis ebbe a definire «ozioso»2 –, la causalità psichica veniva, per così dire, “commutata” in causalità organica, lasciando inalterato il vecchio paradigma organicistico.
Negli anni della Grande Guerra, gli studi della psichiatria si concentrarono dunque sulle forme morbose che colpivano i militari, forme principalmente traumatiche (derivanti da trauma): generalmente caratterizzate da mutismo o balbettamento, sordità, tremore, attacchi convulsivi, allucinazioni, paralisi, depressione, stupore catatonico, le varie forme di nevrosi traumatica e isterismo furono certamente le più analizzate.
Decine sono gli articoli pubblicati sulle riviste scientifiche che trattano di questi disturbi: si pensi, ad esempio, ai lavori di Arturo Morselli, di Bruno Modena, di Placido Consiglio, Giacomo Pighini, di Salerni, di Bennati e Gaetano Boschi, quest’ultimo anche autore di una breve monografia dedicata specificamente alla nevrosi traumatica in guerra, nonché gli studi del già citato Sante De Sanctis sull’isterismo di guerra. In questi lavori, gli psichiatri, come detto, ammettevano sì l’esistenza di una patologia originata dalla guerra che tuttavia era molto rara nei combattenti: il più delle volte – veniva dichiarato – questi si ammalavano al fronte perché affetti da predisposizione costituzionale e/o tare ereditarie, e perciò la guerra aveva non già rappresentato la causa, ma solamente fornito l’occasione di manifestarsi a una malattia già latente nell’individuo (a questo proposito si vedano soprattutto i lavori di Buscaino – Coppola).
È da ricordare anche uno studio della psichiatra Maria Bertolani Del Rio, in servizio presso il manicomio di Reggio Emilia, dedicato alle malattie mentali nella donna in rapporto alla guerra3. Qui l’autrice affermava che, mentre per i soldati sul campo di battaglia i traumi psichici erano così frequenti o così gravi da sorpassare la resistenza nervosa dell’individuo medio, «per la donna invece la guerra rappresenta solo [!] un’immensa fonte di dolore, un succedersi di ansie, un motivo di pianti disperati e di rinunce amare» e che quindi, se non esistevano altre cause predisponenti, le manifestazioni del dolore non deviavano nella pazzia. Secondo Bertolani Del Rio, dunque, non si poteva accusare la guerra di aumentare da sola il numero delle malate di mente; semmai – precisava la psichiatra – le si potrebbe attribuire, per il tramite della donna, una ripercussione nell’avvenire, in quanto «le generazioni concepite durante gli anni della guerra pagheranno un maggior tributo alle malattie mentali, tarda manifestazione delle sofferenze e della angosce subite dalle madri». Anche in questo caso, quindi, la spiegazione era fornita in termini di predisposizione e questioni ereditarie, pur se in prospettiva futura.
Strettamente al confine con quelli psichiatrici, gli studi sul sistema nervoso impegnarono l’attività dei neurologi italiani (e non solo). Neuropatie funzionali (di nuovo nevrosi e isterismo) da un lato, e lesioni o malattie organiche del sistema nervoso centrale o periferico dall’altro, furono gli argomenti di maggior interesse e su cui vennero pubblicati molti lavori scientifici. Nell’ambito di tali patologie, trovò grande applicazione l’utilizzo della elettroterapia. Da ricordare gli scritti di Giuseppe Vidoni, Gaetano Boschi e Vincenzo Neri, quest’ultimo autore di svariate pubblicazioni anche sui congelamenti e la sciatalgia.
La psicologia del soldato, invece, attirò l’attenzione di Agostino Gemelli e Giulio Cesare Ferrari: entrambi, attraverso l’osservazione “da vicino” dei militari al fronte, diedero conto delle caratteristiche psicologiche (e non psicopatologiche) del soldato italiano sul campo di battaglia.
Infine, va ricordato lo studio sugli effetti dei gas asfissianti e lacrimogeni, utilizzati per la prima volta in ambito bellico. Alessandro Lustig osservò che in generale tali effetti si concentravano su occhi e vie respiratorie superiori, provocando intossicazione e irritazione cutanea. In qualche caso furono notati profonda astenia con torpore psichico e afasia, ma quelli psichici sembrarono solamente effetti secondari e, per così dire, collaterali, tant’è vero che in nessun caso venne suggerita una qualunque terapia psichiatrica4.


Elisa Montanari

 

1 Cfr. Valeria P. Babini, Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento, Bologna, il Mulino, 2009, pp. 49-58.

2 «Oramai è ammesso da tutti, o quasi, che ogni fatto psichico, fosse anche la più fredda delle rappresentazioni, sia accompagnato da modificazioni fisiologiche – e non soltanto nella corteccia cerebrale –: è quindi ozioso di darsi l’aria di proteggere il metodo scientifico in genere, e l’interpretazione fisiologica nei casi speciali, quando si sa che l’interpretazione psicologica, se riguarda un altro aspetto nel fenomeno, non esclude affatto l’altra, anzi o la precorre o la chiarisce o la integra»; cfr. S. De Sanctis, «Idee vecchie e nuove intorno all’isterismo», in Quaderni di psichiatria, marzo-aprile 1918, p. 53.

3 Cfr. Maria Bertolani Del Rio, «Le malattie mentali nella donna in rapporto alla guerra», in Rivista sperimentale di Freniatria, 1916

4 Alessandro Lustig, «Gli effetti dei gas asfissianti e lacrimogeni studiati durante la guerra (1916-18): provvedimenti e cura», in Giornale di medicina militare, 1921