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L’istituzione della refezione scolastica nel Comune di Bologna

Il 7 dicembre 1896, dal seggio di Consigliere comunale nel gruppo di Associazione Democratica, Pietro Albertoni proclamava, per primo a Bologna, la necessità di istituire nelle scuole elementari della città la refezione scolastica scatenando una forte opposizione che vedeva alleati liberali e cattolici. Ne era portavoce il Sindaco liberale Alberto Dallolio che, insieme a ragioni economiche, adduceva alla sua causa le ragioni del gruppo cattolico, il quale leggeva nell’istituzione della refezione un principio di deresponsabilizzazione delle famiglie nella cura dei figli, e ragioni politiche contro il “trionfo di un principio socialistico” che, per lui, stava strumentalizzando la causa dei bambini poveri per attrarre favori (lo stanziamento di fondi per la refezione era infatti uno dei punti programmatici del neonato Partito Socialista Italiano). Per di più, per Dallolio, quella della refezione sarebbe stata un’inutile spesa per il bilancio comunale data la forza della beneficienza nel capoluogo emiliano che, attraverso associazioni e comitati, era da tempo impegnata nella causa degli alunni poveri distribuendo gratuitamente materiale scolastico, “colazioni” e vestiti.
La battaglia di Albertoni continuò nel dicembre del 1900 quando riuscì a strappare alla giunta liberale, mentre era Assessore dell’Istruzione Nerio Malvezzi e nonostante la dura opposizione del cattolico Francesco Acri, il voto a favore della sua proposta di incaricare i medici del Comune a fare indagini sull’alimentazione dei bambini nelle scuole. Queste le parole di Albertoni:
“Allo stato presente delle cose la questione è soprattutto di ordine fisiologico […] Se lo Stato impone l’istruzione, quelli che assistono all’istruzione hanno obbligo di imparare. Le condizioni per imparare non sono uguali fra i fanciulli ben nutriti e quelli mal nutriti; questo fatto di ordine fisiologico non può essere messo in dubbio e in proposito sarebbe anche opportuno che i medici addetti al Comune facessero delle indagini. […] Deriva nel Comune l’obbligo di uguagliare le condizioni dei fanciulli poveri e dei fanciulli ricchi, perocché il disagio fisiologico mantiene l’ignoranza, prepara i pervertimenti morali e la Società ha il dovere di limitare i danni”. (1)
Nel suo ruolo di Direttore dell’Ufficio Municipale d’Igiene, Albertoni affidava l’incarico di queste ricerche a un ex allievo, Alfredo Boselli, allora responsabile del servizio sanitario scolastico istituito a Bologna nel 1898. I risultati dell’indagine, condotta su più di 500 bambini nelle aule scolastiche e nell’Istituto dell’infanzia abbandonata di Bologna, dimostravano le teorie del professore sulla stretta correlazione che intercorreva tra alimentazione, sviluppo fisico, condizione sociale e rendimento scolastico: un numero rilevantissimo di scolari (il 43,05%) era diminuito di peso durante l’anno, la maggioranza era costituita da “orfani, figli di operai poveri, di giornalieri, di ignoti” e “gli individui con spiccato depauperamento organico davano un buon contingente ai non promossi, ai ripetenti”. (2)
Come già dimostrato da Albertoni nelle indagini condotte sul bilancio nutritivo del contadino italiano, la condizione sociale ed economica, da cui derivava quella alimentare, era un elemento di grande influenza sullo sviluppo fisico e mentale. Era quindi necessario studiare il mezzo per rendere meno deficiente il bilancio alimentare dell’alunno povero e la risoluzione del controverso problema della refezione scolastica non andava ricercata in principi politici bensì attraverso le “verità fisiologiche” che mettevano in luce bisogni “scientificamente provati”.
Albertoni ritornava su questo tema due anni dopo sulle pagine della Critica Sociale e, riferendosi ai risultati delle indagini di Boselli, proseguite nell’anno scolastico 1901-1902, sottolineava la contraddittorietà e l’insostenibilità “fisiologica” della massima “istruzione per tutti, non cibo per tutti”. La questione politica poteva essere risolta solo attraverso quei dati scientifici che dimostravano come fosse necessario, affinché si realizzasse davvero il principio dell’uguaglianza dell’istruzione, concretizzatosi nel 1877 con la promulgazione della legge Coppino sull’obbligatorietà e gratuità dell’istruzione elementare, permettere un’uguaglianza delle condizioni fisiologiche, uguaglianza indispensabile per un buon apprendimento e rendimento.
“È inutile dare, od imporre, l’istruzione obbligatoria a gente che si trova in simili condizioni. Se insieme all’abbaco non procurate al popolo un po’ di benessere materiale. Voi offrite le armi a chi è incapace di farne uso” – aveva già sostenuto il professore nel discorso inaugurale (Cfr. La Fisiologia e la questione sociale) dell’anno accademico 1890-1891 rivolto agli studenti di medicina dell’Università di Bologna. A distanza di dodici anni, con dati alla mano, interveniva nuovamente sulla necessità insieme scientifica e sociale della refezione gratuita proponendo concretamente una dieta con cui si stabiliva non solo la quantità ma anche la scelta qualitativa degli alimenti in base al fabbisogno nutritivo necessario per ogni alunno in rapporto all’età, al peso e alla durata delle ore di scuola: “la fisiologia ha determinato la proporzione giornaliera di questi bisogni nutritivi ed ha calcolato con esattezza, secondo l’età, il peso dell’alunno, il clima, le abitudini ecc. la quantità di sostanze albuminoidi, di grassi e di idrocarbonati necessari a soddisfarli”. (3)
I tempi erano maturi: in ritardo rispetto al resto di Europa (la necessità della refezione scolastica aveva trovato un consenso unanime al Congresso Internazionale di Igiene, svoltosi a Londra nel 1891, ed era stata immediatamente applicata in molte nazioni europee), anche per la forza dell’opposizione cattolica e di una sua associazione ai partiti popolari, la refezione veniva istituita agli inizi del Novecento nelle prime città italiane (a Mantova, Cremona, Milano e Bologna). La propaganda igienica nazionale aveva mostrato l’alleanza fruttuosa tra medicina e pedagogia e al programma socialista si erano uniti gli studi sperimentali dei medici e dei fisiologi. A Bologna la vittoria dell’Unione dei Partiti Popolari, nel dicembre del 1902, aveva inaugurato il nuovo corso democratico della giunta comunale e nel marzo dell’anno successivo l’Assessore della Pubblica Istruzione Alberto Ghillini costituiva una commissione per studiare “i modi più convenienti per introdurre la refezione scolastica nelle scuole elementari del comune”. A ottobre Enrico Sandoni, Presidente della Federazione delle Società degli Insegnanti dell’Emilia, esponeva una relazione dove il connubio tra ragioni sociali e scientifiche richiamava chiaramente le parole di Albertoni: “Di fronte alla scuola e all’obbligo di frequentarla, avremo due categorie di piccoli cittadini: […] fanciulli nutriti abbondantemente a fianco della falange silenziosa e sofferente dei poveri e dei mal-nutriti. […] Si troveranno queste due categorie di esseri, che sono uguali nella potenzialità intellettiva, nelle identiche condizioni per isviluppare queste loro potenzialità? Oppure nell’adempimento dell’obbligo comune, dovranno le due categorie di esseri infantili trovarsi in condizioni disuguali? […] Ne viene per indiscutibile conseguenza che dovranno necessariamente verificarsi diverse le condizioni nella psiche umana a seconda delle differenti condizioni dello stato fisiologico degli individui stessi. […] Dato l’obbligo del fanciullo di istruirsi, impostogli dallo Stato, doveva lo Stato dare al fanciullo il mezzo perché potesse integralmente a quell’obbligo soddisfare. […] Si cominciò col dire che era un’utopia […]. Si finì per qualificarla un bisogno, dicendo che ai bisogni dei poveri largamente provvede la pubblica beneficienza. […] Questa asserzione contiene un errore di fatto ed un apprezzamento sbagliato tanto moralmente, quanto pedagogicamente […] non si possono dimenticare quei bimbi, dalla faccia morta e scialba, che traggono un pezzo di pane duro ed un soldo di castagne od una fetta di polenta, guardando, con vergogna gelosa, e poco promettente per l’avvenire delle classi sociali, il cesto del vicino abbondantemente fornito, [situazione che] manifesta nel primo un senso di pietà e nel secondo sveglia un senso di umiliazione, poco profittevole pel suo carattere. […] Era la carità che si voleva non l’adempimento di un dovere e il riconoscimento di un diritto”.
Considerando quindi la questione della refezione un “diritto sanitario scolastico” dell’alunno e un “dovere civile” della comunità, Sandoni sosteneva fermamente, come Albertoni prima di lui, che la beneficienza avrebbe dovuto essere sostituita dall’azione del comune e proponeva un programma concreto di intervento calcolandone i costi – in base al numero degli alunni che ne avrebbero beneficiato, al personale da assumere, alla razione giornaliera e al tipo di cibo da distribuire – e stabilendo i luoghi dove installare delle cucine che avrebbero assicurato una “refezione calda”, da preferirsi per ragioni fisiologiche a quella fredda.
Tempestivamente la giunta popolare di Enrico Golinelli, mentre era Assessore all’Igiene Pietro Albertoni, decretava l’istituzione a Bologna della refezione nell’ambito di un’importante riforma scolastica che definiva un nuovo e innovativo regolamento organico per le scuole elementari: venivano aboliti l’insegnamento religioso e l’assegnazione di compiti da svolgersi a casa, si stabiliva l’orario “diviso” – condizione necessaria per la refezione e per un adeguato riposo degli alunni calcolato sulla base degli importanti studi di Giuseppe Bellei sulla stanchezza mentale degli scolari (1901) – e si approvava la richiesta di sussidi statali per attuare un nuovo piano di edilizia scolastica.
Nel corso del 1904 furono quasi cinquemila gli alunni poveri che usufruirono della refezione scolastica e, alla fine dell’anno, nuove indagini di Alfredo Boselli dimostravano che la percentuale dei diminuiti di peso si era dimezzata e, proporzionalmente, anche il rendimento scolastico ne aveva tratto profitto. (4)

Il grafico sull'istituzione della refezione scolastica in Italia è tratto da: Giuseppe Badaloni, L’igiene e l’assistenza scolastica in Italia. Relazione dell’ispettore centrale Prof. Giuseppe Badaloni a S. E. il Ministro in occasione della esposizione internazionale di Igiene Sociale in Roma, Roma, Tip. operaia romana operativa, 1912
ALESSANDRA CEREA

BIBLIOGRAFIA

NOTE

1 Atti del Consiglio Comunale, 20/12/1990. Citazione tratta da Mariella D’Ascenzo, La scuola elementare nell’età liberale. Il caso Bologna (1859-1911), Bologna, clueb, 1997.

2 Alfredo Boselli, “Sulla correlazione tra scuola e sviluppo fisico dello scolaro”, Bullettino delle scienze mediche (1901).

3 Giuseppe Badaloni, L’igiene e l’assistenza scolastica in Italia. Relazione dell’ispettore centrale Prof. Giuseppe Badaloni a S. E. il Ministro in occasione della esposizione internazionale di Igiene Sociale in Roma, Roma, Tip. operaia romana operativa, 1912.

4 Alfredo Boselli, “La refezione scolastica a Bologna. Osservazioni e ricerche”, Bullettino delle scienze mediche (1905).