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Cartelle cliniche e scritti dei ricoverati

Militari
Sono poco più di un centinaio i soldati che, durante gli anni della Grande Guerra, varcarono le porte dell’ospedale psichiatrico «Roncati» di Bologna. Nessuno di loro ebbe accesso diretto dal campo di battaglia al manicomio: l’invio era sempre mediato da altre strutture sanitarie, che, a loro volta, potevano essere strutture “intermedie” (ospedali militari territoriali, manicomi di altre città, centri di prima raccolta), oppure strutture di prima linea, quali gli ospedali da campo o della Croce Rossa.
All’interno dei fascicoli sanitari manicomiali è conservata anche la documentazione prodotta dalla struttura d’invio – se questa si trovava in altra città è allegato anche il “Foglio di viaggio per militari isolati” –, e in alcuni casi anche il “Foglio matricolare e caratteristico” , una sorta di riassunto della carriera militare del soldato che veniva compilato dalle stesse autorità militari.
I dati contenuti nella documentazione, talvolta cospicua, aveva un’importanza particolare qualora il soldato avviasse la pratica per ottenere una pensione d’invalidità, richiesta proprio in virtù della malattia o della lesione subita durante l’attività militare. In questo caso, un’apposita commissione medica militare aveva il compito di visionare la documentazione clinica prodotta dalle varie strutture in cui il soldato era stato ricoverato, e, fatta salva la possibilità di domandare ulteriori specifiche o pareri ai vari direttori sanitari, esprimeva poi il giudizio finale: “la malattia dipende da causa di servizio” oppure “la malattia non dipende da causa di servizio”. Solamente in caso affermativo, l’ex soldato avrebbe beneficiato della pensione d’invalidità richiesta. Come spesso accade nelle cose della psichiatria – ma forse è più corretto dire della medicina – interessi diversi, di natura diversa, entravano in gioco nella formulazione di quel giudizio: interesse teorico, come si è detto, per quanto riguardava la decisione di assegnare o meno alle emozioni un ruolo patogenetico causalmente autonomo; un interesse che potrebbe definirsi “istituzionale”, nell’accezione più ampia del termine, per cui sarebbe risultato scomodo ammettere che la guerra, quell’impresa necessaria per il bene della nazione (o almeno divenuta tale con un uso massiccio della propaganda) si rivelasse catastrofica sia per i corpi sia per le menti di tanti giovani combattenti; infine, l’interesse più squisitamente economico di uno Stato già finanziariamente messo in ginocchio da quattro anni di guerra esasperante. Non è difficile immaginare che tutti questi interessi entrassero in gioco al momento della determinazione del giudizio, espresso da medici civili e militari (appartenenti dunque alla classe dirigente): ecco perché appare lecito avanzare qualche dubbio sulla pretesa neutralità di tali giudizi.
Il periodo di permanenza in manicomio del soldato variava certamente in base alla patologia o al disturbo di cui era portatore: dai pochi giorni o poche settimane di certi nevrotici/traumatizzati affetti da mutismo transitorio, agli alcuni mesi dei nevrotici isterici – gli uni e gli altri venivano spesso dichiarati “non affetti da alienazione mentale” –, fino a periodi ben più lunghi (anche un anno o più) in taluni casi di demenza precoce catatonica. Va comunque detto che il 25 maggio 1916 venne approvato il Decreto Luogotenenziale n. 704 in base al quale il periodo massimo di osservazione previsto dalla legge sui manicomi (30 giorni, legge n. 36 del 1904) veniva protratto sino a tre mesi. Nel decreto era specificato che la proroga valeva solo per militari presunti alienati inviati in osservazione nei manicomi e solo per la durata della guerra1: una misura, questa, che doveva servire a evitare l’internamento definitivo dei soldati.
Se la decisione d’inviare il militare in manicomio era giustificata il più delle volte dalla pericolosità del soldato per sé (es. rifiuto di alimentarsi) o per gli altri (es. atteggiamenti violenti verso terzi) – la pericolosità era criterio d’internamento in manicomio secondo la legge italiana allora in vigore – , è comunque difficile comprendere a quali terapie i militari venissero qui sottoposti: nella maggior parte dei casi, infatti, le cartelle cliniche non contengono annotazioni sotto la voce “cura” che permettano di ricostruire intenzioni o percorsi terapeutici. Solamente in pochissimi casi sono annotate alcune somministrazioni del farmaco Luminal – un ipnotico scoperto in quegli anni e che proprio per questo stava guadagnando l’attenzione della stampa scientifica2 –; ma non v’è traccia, ad esempio, né di quella psicoterapia che gli psichiatri dichiaravano di voler mettere in campo proprio coi militari traumatizzati3, né di quell’elettroterapia che stava incontrando il favore di tanti neurologi e per il cui esercizio Brugia aveva acquistato apposita macchina già nel 19104.

In compenso, le circostanze della guerra imponevano al direttore del manicomio lo svolgimento di alcuni compiti certamente non usuali, quali ad esempio le ricerche per identificare quei soldati che venivano presentati come “n. n.” (ossia non identificati) , o anche le ricerche dei famigliari dispersi nelle zone di guerra e il cui ritrovamento avrebbe giovato allo stato mentale del/la ricoverato/a.









Gli scritti dei militari rinvenuti nei fascicoli sanitari del manicomio sono per lo più lettere alle persone care – all’interno di una busta sono ancora conservati due piccolissimi fiori di campo con cui il soldato voleva accompagnare la lettera alla propria moglie –: in certi casi è pressoché impossibile comprenderne scrittura e senso, sia perché lo stato mentale confuso e allucinato rendeva tali anche la grafia, sia per la scarsa conoscenza delle più elementari regole grammaticali e sintattiche (si tenga presente la scarsa attitudine alla scrittura e più in generale il forte tasso di analfabetizzazione delle classi subalterne quali contadini e operai che andavano a costituire la fanteria dell’esercito italiano5). Vi sono poi brevi narrazioni autobiografiche, presumibilmente incentivate dal personale del manicomio, mentre gli eventuali deliri allucinatori o gli incubi notturni “a tema” (come quello che si legge qui ) sono riportati direttamente nella cartella clinica.

Qui di seguito vengono riportati alcuni casi, scelti per la loro emblematicità, riguardanti due tipologie di disturbo largamente riscontrate tra i combattenti della Grande Guerra: il mutismo transitorio e lo stupore catatonico.

a) Casi di mutismo transitorio

CARMELO C. (classe 1892)
Ammesso il 28 giugno 1915
Dimesso il 6 luglio 1915 per non verificata alienazione mentale, consegnato all’Ospedale Militare
Diagnosi: Neurosi emotiva con mutismo transitorio (mutismo transitorio da trauma affettivo)
Carmelo (di professione calzolaio, ora Caporale nel 31° Reggimento Fanteria) viene inviato in manicomio dal locale Ospedale Militare accompagnato dalle seguenti indicazioni:
«Non si conosce alcun precedente anamnestico né famigliare né individuale. Sappiamo solo che egli viene dai luoghi di combattimento. È in preda a grave astenia e non si regge che appoggiandosi alle persone. Ha espressione dolente e spaventata, non risponde affatto all’interrogatorio, borbotta parole incomprensibili. Si nutre assai scarsamente, è insonne ed ha temperatura subfebbrile.
Si giudica l’ammalato affetto da psicosi: necessita perciò il suo ricovero in manicomio ove può essere trasportato senza suo nocumento. Egli è pericoloso a sé stesso» (da Notizie anamnestiche e certificato medico).
Queste sono le uniche notizie che abbiamo di Carmelo: la cartella clinica del manicomio non contiene alcuna indicazione della se pur breve permanenza nell’istituto (né sotto la voce “sindrome fisica e psichica”, né sotto quella di “cura”).




ANTONIO G. (classe 1888)
Ammesso il 28 giugno 1915
Dimesso il 6 luglio 1915 per non verificata alienazione mentale, consegnato all’Ospedale Militare
Diagnosi: mutismo transitorio da trauma psichico
Antonio (di professione pompiere, ora Soldato nel 39° Reggimento Fanteria) viene inviato in manicomio dal locale Ospedale Militare accompagnato dalle seguenti indicazioni:
«Nulla sappiamo dei precedenti famigliari. Proviene dai luoghi di combattimento. Ha atteggiamento ed espressione di persona fortemente spaventata e dolente, ed è in preda a forte tremore che si accentua quando lo si interroga. Avvicinandosi a lui si ritrae con espressione di paura e lamentandosi. Non dice alcuna parola, si esprime solo con cenni del capo ma non sempre a tono. Sembra che non comprenda che scarsamente e in ritardo quanto gli si dice. Spesso assume atteggiamento stuporoso. Dorme poco e interrottamente. Ha forte cardiopalma. Può essere inviato al manicomio senza nocumento della salute; lo si ritiene pericoloso a sé stesso» (da Notizie anamnestiche e certificato medico).
Anche in questo caso, queste sono le uniche notizie che abbiamo del soldato: la cartella clinica del manicomio non contiene alcuna indicazione della se pur breve permanenza nell’istituto (né sotto la voce “sindrome fisica e psichica”, né sotto quella di “cura”).

OLINTO M. (classe 1894)
Ammesso il 28 giugno 1915
Dimesso il 6 luglio 1915 per non verificata alienazione mentale, consegnato all’Ospedale Militare
Diagnosi: mutismo transitorio da trauma affettivo
Olinto (di professione applicato ferroviario, ora Soldato nel 39° Reggimento Fanteria) viene inviato in manicomio dal locale Ospedale Militare accompagnato dalle seguenti indicazioni: «Nulla risulta riguardo all’anamnesi ereditaria. Proviene dai luoghi di combattimento. È in preda a grave prostrazione di forze, è pallidissimo, ha espressione prostrata, dolente, spaventata, ha alcune contusioni al volto. Non parla quasi affatto, si esprime assai malamente, borbotta da solo e racconta con voce bassa, interrotta, spaventata, episodi terrificanti di guerra. È insonne. Lo si invia al Manicomio ove può essere trasportato senza nocumento della sua salute. Egli è pericoloso a sé stesso» (da Notizie anamnestiche e certificato medico).
Anche in questo caso, queste sono le uniche notizie che abbiamo del soldato: la cartella clinica del manicomio non contiene alcuna indicazione della se pur breve permanenza nell’istituto (né sotto la voce “sindrome fisica e psichica”, né sotto quella di “cura”).
L'immagine riproduce il racconto di guerra rinvenuto all'interno del fascicolo sanitario.



PIETRO P. (classe 1891)
Ammesso il 9 agosto 1915
Dimesso il 4 settembre 1915 per non verificata alienazione mentale, consegnato all’Ospedale Militare
Diagnosi: mutismo isterico con oscuramento psichico transitorio
Pietro (di professione bracciante, ora Soldato nell’8° Reggimento Alpini) viene inviato in manicomio dal locale Ospedale Militare accompagnato dalle seguenti indicazioni:
«Non è possibile avere dati anamnestici; proviene da ospedale di campo. Dal momento in cui fu trasportato in questo Ospedale non ha pronunciato parola. Smarrito, disorientato, in istato di depressione assai grave, del tutto inerte ed abulico, si dimostra sordo ad ogni stimolo. Ha muscolatura rilasciata, volto inespressivo. Non si nutre spontaneamente, e deve essere imboccato. Talora lo si vede gesticolare e borbottare tra sé, probabilmente in preda ad allucinazioni. Ritenendolo pericoloso a sé stesso lo si invia d’urgenza al Manicomio ove può essere trasportato senza nocumento della sua salute» (da Notizie anamnestiche e certificato medico).
Nella cartella clinica del manicomio sono presenti un paio di annotazioni che descrivono l’atteggiamento del soldato: il 9 agosto viene annotato che Pietro «mette le gambe penzoloni nel margine del letto e si stropiccia le mani», che «non parla né spontaneamente né interrogato», e sono riportati i dati raccolti dall’esame obbiettivo (riflessi achilleo, rotuleo, plantare, addominale, laringeo) dove viene rilevato anche tremito delle mani e che il soldato «non protende la lingua fuor delle chiostra dei denti». Il 12 agosto, invece, appena tre giorni più tardi, è scritto che «ha dormito e si è nutrito. Si mostra normale in tutto e scrive a lungo, dietro domande, rispondendo coerentemente. È bevitore, fumatore, poco propenso alle venere».
All’interno del fascicolo sanitario sono conservati i dialoghi scritti sopra citati.

b) Casi di stupore catatonico

RAFFAELE M. (classe 1892)
Ammesso il 9 gennaio 1916
Dimesso il 22 marzo 1916 per guarigione. Riformato, viene consegnato al cugino
Diagnosi: stupore catatonico
Raffaele (di professione colono, ora Soldato nel 36° Reggimento Fanteria) viene inviato in manicomio dal locale Ospedale Militare accompagnato dalle seguenti indicazioni:
«Mancano i dati anamnestici. Entrò nel reparto Osservazione di questo Ospedale Militare il giorno 7 corrente. Da allora si mantenne subeccitato, confuso, incoerente nel contegno, disordinato, insonne, talvolta violento; non mangia se non imboccato. Ritenendolo pericoloso a sé e agli altri lo si invia al locale manicomio ove può essere trasferito senza alcun nocumento per la sua salute» (da Notizie anamnestiche e certificato medico).
Nella sezione “Andamento della malattia e cura” della cartella clinica del manicomio, sono presenti alcune annotazioni delle parole che il soldato pronuncia durante il ricovero: se il 9 gennaio, giorno d’ingresso, si limita a emettere qualche monosillabo (Uhm!, lì, là, accompagnandolo con l’indice esteso), qualche giorno più tardi dirà piccole frasi riferite alla guerra, come “Uhm! Lì una fortezza” o “il cannone spara di là”.
Ma ancora più emblematica della situazione psichica del soldato è una lettera rinvenuta nel suo fascicolo sanitario.

EVARISTO Z. (classe 1886)
Ammesso il 13 ottobre 1916
Dimesso il 18 dicembre 1916 per trasferimento al manicomio prov. in Imola
Diagnosi: stato di stupore catatonico (alcolismo cronico)
Evaristo (di professione operaio della terra, già Soldato nel 27° Reggimento Fanteria, ora riformato) viene trasferito dal manicomio provinciale di Lucca, dove è stato ricoverato dal 21 agosto al 30 settembre 1916. Nel diario clinico compilato a Lucca si legge:
«All’entrata si mostra depresso, muto, inaccessibile. Mantiene una posizione speciale: corpo inclinato sul lato destro, braccio destro ravvicinato al tronco, avambraccio flesso, compie continuamente movimenti ritmici colla testa, coll’arto sup. destro e talora con tutto il corpo. Si nutre poco. [La settimana successiva] prosegue l’astensionismo completo, l’inaccessibilità e si notano ancora i movimenti ritmici delle braccia e del capo. [Inoltre] ricordando i suoi cari, sua madre e i suoi parenti tutti, non vibra affatto, rimane inerte».
Nella cartella clinica di Bologna la prima annotazione (del 13 ottobre, giorno d’ingresso in manicomio) riferisce che il paziente «giace a letto immobile e muto, non risponde alle domande anche insistenti, ma batte velocemente le palpebre. Catatonia lieve». Il 27 ottobre viene annotato che «stamane mutandolo di letto si è come ridestato ed ha parlato “dove mi portate?”» e che in serata «ha risposto qualche cosa al medico, sussurrando fievolmente, e si è messo a piangere».
È di un mese più tardi (27 novembre), una relazione medica in cui si legge:
«Z. Evaristo entrò in questo Manicomio il 13 ottobre 1916, proveniente dal Manicomio di Lucca, come soldato riformato del 27° Fanteria, muto, smarrito, anche impulsivo, poiché più volte tentò di gettare oggetti contro chi l’avvicinava. Gradatamente si calmò, solo rimase uno stato catatonico e lo smarrimento della mente. Ora sta in letto, privo di qualsiasi iniziativa, tanto che conviene nutrirlo e non esprime mai nessun desiderio e sta muto e indifferente anche coi parenti che spesso lo vengono a visitare. Si è poi anche fatto sucido e imbratta di escrementi e di orina il suo letto».
Nel 1921 ha luogo il “processo verbale constatante la malattia contratta dal soldato”, il processo, cioè, mediante il quale l’autorità militare stabiliva se la malattia era da considerarsi o meno avvenuta per causa di servizio. Il Consiglio d’Amministrazione dell’Ospedale Militare di Bologna stabilisce che la malattia contratta da Evaristo non dipende da causa di servizio: non è stata la guerra a farlo ammalare, poiché – questa la motivazione – «dal foglio matricolare si rileva che il soldato non è mai stato in zona di operazioni e la famiglia dell’interessato interpellata in merito, non ha potuto dare alcuna informazione. [Dunque] non si può ammettere che i disagi, gli strapazzi del fronte abbiano potuto aggravare il decorso della malattia che certamente già preesisteva nell’individuo stesso» (dal Parere del Direttore di Sanità Militare del Corpo d’Armata di Bologna, 17 agosto 1921).

 

Donne
Qui di seguito sono riportati alcuni casi di donne ricoverate nel manicomio «Roncati» durante gli anni della Grande Guerra. Il fatto che i disturbi sofferti da queste donne (di età e situazioni di vita molto diverse) siano tutti legati alla guerra è stato l’elemento discriminante della scelta.

CLORINDA C. (classe 1881)
Ammessa il 6 agosto 1915
Dimessa il 6 giugno 1917 per miglioramento, consegnata al marito con garanzia
Diagnosi: Frenosi maniaco depressiva
Dalla cartella clinica: andamento della malattia e cura
Il giorno d’ingresso le vengono somministrate 10 gocce di tintura d’oppio [laudano] e un clistere d’olio. Il giorno successivo (7 agosto) è annotato che l’ammalata «vuole andarsene, dicendo che questo non è il suo posto. Ha dormito poco». Le vengono dunque somministrate 20 gocce di tintura d’oppio. L’agitazione e l’insonnia continuano per altri 8 giorni, annotate entrambe fino al 15. Il 18, invece, «si mostra depressa», il 19 le viene praticato un bagno di cura.
L’annotazione successiva è del 10 febbraio 1916: «È molto migliorata, benché talvolta le angustie le tolgano il sonno, ed essa si disperi dicendo che sarebbe meglio non essere a questo mondo. Qualche giorno vorrebbe restare in letto, avendo bisogno di riposo, ma poi, anche così si sente male e si alza».
In data 18 febbraio troviamo un’annotazione molto lunga: «La C. è lucida, e racconta che dai 14 anni, di conserva colle mestruazioni assai abbondanti, cominciò a soffrire di anemia: o prima delle mestruazioni, o al termine di esse, era soggetta alle volte ad irrequietezza e tremito. Tranne l’anemia, non ebbe malattie. Allo scoppiare della guerra attuale essa si agitò assai temendo che il marito venisse richiamato; ed aumentò ancora la sua emozione quando ebbe da una ragazza l’avviso che appunto era stata richiamata la classe del marito. In quel tempo essa dimorava a Milano; e provò un’altra forte impressione quando si tolse la illuminazione delle vie “perché doveva giungere un areoplano”. La C. cominciò – come essa l’esprime – a passare da una farmacia all’altra, cercando inutilmente qualche medicina che le ridonasse la calma e la facesse dormire. Partito il marito, essa ritornò a Bologna presso il fratello: era sempre in preda all’angoscia: faceva sogni spaventosi: al mattino era presa da tremito: sentiva cefalea, rumori e suoni di campane, “voci minacciose che l’avvertivano che il marito non sarebbe ritornato”. Inghiottì allora una certa quantità di tintura di iodio (per cui le fu praticata la lavanda gastrica) e bevette mezza boccetta di Fernet».
Si salta poi al 23 aprile in cui «accusa dolori al ventre: due giorni or sono è andata di corpo più volte. Sera: è piuttosto impressionata, alquanto accesa», per cui le vengono somministrate 10 gocce di laudano e praticati impacchi caldi.
Le ultime due annotazioni riguardano aspetti ginecologici: in data 30 aprile viene annotato che «nella notte scorsa ha perduto una notevole quantità di sangue mestruale», e il successivo 26 maggio che «nella notte scorsa ha avuto perdite di sangue mestruo abbastanza abbondante: ieri anche maggiore». In entrambi i casi la cura praticata è stata la somministrazione di adrenalina.
Uscirà poi migliorata il 6 giugno 1917, senza che per un anno intero sia registrato alcunché sulla cartella clinica.

Altra documentazione: corrispondenza
Alcune lettere conservate all’interno del fascicolo sanitario costituiscono oggi la testimonianza di quella pluralità di interessi, bisogni e necessità che gravitavano intorno all’ingresso in manicomio di un parente/conoscente.
In un caso si tratta della lettera che la sorella della ricoverata scrive il 1 dicembre 1915 (dopo circa 4 mesi dall’ingresso in manicomio quindi) per richiedere al direttore del manicomio un certificato riguardante la malattia che ha colpito la sorella. «Il certificato in parola deve servire – si legge – da allegare all’incarto riferentesi alla pratica iniziata, onde il marito della alienata, che trovasi militare ed è un provetto meccanico-tornitore, sia trasferito a Bologna a prestare servizio». Già il giorno successivo, Brugia esaudisce la richiesta inviando il certificato [all’interno del fascicolo sanitario ne è conservata una copia].
In un altro caso si tratta della lettera, datata 5 gennaio 1917, scritta dal datore di lavoro del marito per ottenere notizie sullo stato di salute di Clorinda. Apprendiamo così che anche il padre dello scrivente era stato curato da Brugia: «Ricordando sempre le amorose cure che ebbe per il mio povero Babbo, e le squisite gentilezze che ha usato a tutta la mia famiglia nella tristissima occasione della sua partita, mi permetto rivolgermi a Lei per un favore. Nel Manicomio Provinciale di costì è stata ricoverata, fin dal principio della guerra, la Sig.a C. Clorinda, per vizi sopravvenuteli in seguito al richiamo sotto le armi del marito Sig. O. Romolo. Essendo questi (tuttora militare) disegnatore nelle F. S. e mio dipendente, ed avendolo molto a cuore, le sarei obbligatissimo se mi potesse dare dettagliate informazioni sullo stato attuale della predetta Sig.a e se si può nutrire speranza di una proficua e completa guarigione. Naturalmente delle notizie che mi potrà fornire farò un uso completamente riservato».
Anche in questo caso, la risposta non tarda ad arrivare. Brugia scrive che «la signora C. Clorinda presenta una psicosi sotto forma di melanconia con ricorrenze di agitazione ansiosa, durante la quale è sommamente pericolosa per impulsi al suicidio. Non è dato per ora pronunciarsi sulla durata possibile della malattia, la quale per altro è suscettibile di guarigione».

MARIA M. (classe 1897)
Ammessa il 6 marzo 1917
Dimessa il 22 marzo 1917 per miglioramento, consegnata alla madre con garanzia
Diagnosi: Psicosi isterica
Questa ragazza, di professione sarta operaia, viene ricoverata in manicomio per la seguente motivazione: «cominciò circa 12 giorni or sono a disperarsi pel timore che il padre dovesse partire pel fronte, ha dato in escandescenze, a gridare, a minacciare di darsi la morte, fuggendo anche di casa la notte. Continua ad urlare, continuamente spesso le sopravvengono accessi convulsivi, ha carattere isteroepilettico, arco di cerchio, urla, anemia, cefalea continuata, accessi di risa. Non è possibile in famiglia sorvegliare o trattenere l’inferma tanto che è riconosciuto da tutti la necessità di ricoverarla in un Manicomio. Viene poi specificato che tale forma morbosa non si era mai presentata prima» (da Notizie anamnestiche e certificato medico).
Impossibile sapere cosa le sia stato fatto in manicomio: la cartella clinica non contiene indicazione alcuna.





MARGHERITA F. (classe 1866 )
Ammessa il 11 novembre 1917
Dimessa il 28 novembre 1917
Per non verificata alienazione mentale
Diagnosi: Nevrosi emotiva
Profuga dalla provincia di Belluno.
La prima annotazione in cartella clinica è per informare che Margherita «all’ingresso [in manicomio] era assai emozionata, esprimente il timore che uccidessero lei, nonché i figli e i nipotini a cui è assai affezionata. Mangia poco. Ha detto che gli austriaci sono barbari, lei è Italiana e vuol morire in Italia. Vede i soldati e i cannoni: “Non vedete, signormé, che sono lì che passano?”. Interrogata, risponde piuttosto bene». FOTO
Le annotazioni successive riguardano il sonno di Margherita: la notte scorsa non ha dormito, non stava in letto, dicendo che c’erano i tedeschi. Ha sempre l’idea che la uccidano. Del resto appare lucida». Qualche goccia d’oppio e un bagno di cura (lattato di ferro) sono i rimedi utilizzati per calmarla.
Viene dimessa dopo un paio di settimane per non verificata alienazione mentale.

Elisa Montanari

1 Cfr. «Per la organizzazione dei Servizi neuro-psichiatrici nell’Esercito» in Quaderni di psichiatria, settembre-ottobre 1916, p. 238.

2 Cfr. ad esempio L. R. Sanguineti, «Studio clinico e sperimentale sopra un nuovo ipnotico Luminal»; D. Linguerri e L. Valenti, «Ricerche cliniche e chimiche sul Luminal», entrambi in Giornale di Psichiatria clinica e tecnica manicomiale, Ferrara, anno XL, 1912, pp. 511-590 e pp. 613-672.

3 A titolo di esempio si vedano i già citati: «Assistenza psichiatrica in guerra e servizio sanitario nei manicomi pubblici italiani» in Bollettino dell’Associazione tra i medici dei Manicomi pubblici italiani, agosto-settembre 1915, pp. 49-50; A. Morselli, «Il reparto neuro-psichiatrico dell’ospedale da campo di 100 letti 032 (III armata)», in Quaderni di psichiatria, vol. II-1915, p. 389.

4 31 luglio 1910 Fattura d’acquisto dalla ditta Zambelli di Torino di una macchina Hirschmann per cura elettrica faradica e galvanica, prezzo Lire 500, conservata presso Archivio Storico della Provincia di Bologna, Carteggio generale, 1910, titolo 7.4, busta 2053.

5 Cfr. A. Gibelli, La grande guerra degli italiani 1915-1918, Milano, BUR, 2011; in particolare pp. 136-141.