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Il Manicomio di Bologna diretto da Raffaele Brugia

Dagli articoli apparsi sulle riviste del settore negli anni della guerra e dagli studi effettuati sugli archivi di alcuni manicomi italiani, la storiografia ha messo in evidenza alcune caratteristiche generali1: l’elevato numero di militari ricoverati, l’incremento del numero di donne internate, e la drastica riduzione del personale in servizio presso i manicomi. Caratteristiche, tutte, correlate – o dovute – alle particolari circostanze della guerra.

I dati raccolti presso gli archivi della Provincia e del manicomio «Roncati» di Bologna confermano, per la realtà bolognese, queste indicazioni, a patto però d’intenderle come tendenze generali: private, cioè, di quell’aggettivo che le qualifica numericamente. In altre parole, anche a Bologna si riscontrano i medesimi incrementi e decrementi registrati altrove, ma non con le stesse intensità: i militari non giungono al manicomio in maniera tanto massiccia, tanto che nessuna sezione speciale viene per loro appositamente creata; il numero delle donne aumenta, certo, ma non prepotentemente; una parte del personale viene richiamato sotto le armi, determinando sì una riduzione del personale in servizio, riduzione che tuttavia non è così drastica da portare sconvolgimenti nel regolare andamento della vita manicomiale.

Si potrebbe dire, insomma, che la realtà bolognese (manicomiale ma forse non solo), vuoi per la sua posizione relativamente lontana dalla guerra (dalle zone di combattimento), vuoi per l’attitudine di un’amministrazione che si vuole comunque ordinata e ben organizzata, non viene proprio stravolta dalle circostanze prodotte dal primo conflitto mondiale: nel senso che inevitabilmente risente dei suoi influssi, riuscendo tuttavia a mantenere un certo equilibrio.

Va anche detto che Raffaele Brugia, direttore in quegli anni del «Roncati», mostrò sempre una sorta di “fastidio” dinanzi alla prospettiva del ricovero di militari in manicomio: dalla polemica iniziale con Augusto Tamburini, al rifiuto di mettere a disposizione posti letto “dedicati” per permetterne il trasferimento dalla Clinica universitaria, tale fastidio è conclamato per tutta la durata del conflitto, al punto che, nel novembre 1918, ricevuta una lettera della Prefettura che invitava i direttori dei due manicomi bolognesi a non ostacolare il ricovero dei militari presso la sezione psichiatrica militare annessa ai manicomi (come il Prefetto lamenta essere accaduto presso qualche manicomio civile), Brugia risponderà sottolineando che «questo ospedale [– il «Roncati» –] non funziona come Sezione Psichiatrica Militare» 2.

Con questo non si vuol certo dire che al «Roncati» i militari non fossero accolti: negli anni 1915-1918 ne saranno ospitati poco più di un centinaio. Forse, più semplicemente, si può ipotizzare che Brugia non fosse tra quegli alienisti che vedevano nella guerra un’eccezionale occasione di studio, ma piuttosto si adoperasse maggiormente affinché il buon funzionamento del “suo” manicomio non venisse turbato.


Elisa Montanari

 

 

1 Cfr. ad esempio: Valeria P. Babini, Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento, Bologna, il Mulino, 2009, pp. 49-58; Vinzia Fiorino, Le officine della follia: il frenocomio di Volterra (1888-1978), Pisa, Ets, 2011 (in particolare cap. IV La prima guerra mondiale e le sue nevrosi); Lisa Roscioni, Luca Des Dorides, Il manicomio e la grande guerra, in L’Ospedale S. Maria della Pietà di Roma. L’ospedale psichiatrico di Roma. Dal manicomio provinciale alla chiusura, vol. III, Bari, Dedalo, 2003.

2 Archivio Storico della Provincia di Bologna, Carteggio generale, 1918, titolo 7.4, busta 2734