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L'Istituto medico-pedagogico emiliano: da San Giovanni in Persiceto a Bertalia

L’Istituto medico-pedagogico emiliano fu inaugurato il 2 luglio 1899 a San Giovanni in Persiceto, piccolo paesino della campagna fra Modena e Bologna, zona centrale rispetto ai tre più importanti istituti manicomiali della regione. L’evento fu solenne e ampiamente documentato dai giornali locali. Oltre alle autorità del paese, erano presenti il Deputato della Provincia di Bologna Cesare Sanguinetti, il Presidente della Deputazione Provinciale di Reggio Emilia Carlo Morandi, gli psichiatri Augusto Tamburini, Raffaele Brugia e Ruggero Tambroni, direttori rispettivamente dei manicomi di Reggio Emilia, Imola e Ferrara ed Enrico Sandoni, Presidente della Federazione delle Società degli Insegnanti dell’Emilia. Li aveva invitati il proprietario e direttore amministrativo del nuovo istituto Socrate Gardini, ex economo dell’Ospedale-ricovero di San Giovanni in Persiceto, in quanto rappresentanti dell’Associazione Emiliana per la protezione dei fanciulli deficienti, sotto la cui tutela e vigilanza sorgeva l’Istituto medico-pedagogico emiliano.

Era di fatto il primo istituto medico-pedagogico in Italia. I precedenti tentativi, avvenuti per iniziativa di insegnanti ed educatori – fra i più importanti ricordiamo quello dell’istituto per frenastenici aperto a Chiavari nel 1889 da Antonio Gonnelli-Cioni, trasferito poi nel bergamasco, a Vecurago, e quello del Paedagogium sorto a Nervi nel 1891 per opera di Luigi Olivero e sotto il patrocinio dello psichiatria Enrico Morselli – avevano avuto vita brevissima o non avevano acquisito una tale importanza istituzionale e scientifica. Di certo non avevano avuto lo stesso appoggio politico ed economico da parte delle amministrazioni provinciali e il sostegno scientifico di un movimento nazionale che vedeva coinvolte la medicina sociale e la psichiatria italiane nell’intento di fondare una nuova pedagogia che, costruita sui dettami dell’antropologia, della fisiologia e dell’igiene, si voleva scientifica. 1

Come si legge nel suo Programma, l’Istituto medico-pedagogico emiliano era destinato ad accogliere quei “fanciulli deficienti o tardivi nello sviluppo mentale (affetti da idiotismo, imbecillità, semplicità di spirito, epilessia) che, per condizioni congenite anormali della loro mente non possono essere educati a scuola e nei Collegi comuni”, la maggior parte dei quali, necessitando di un’assistenza sanitaria e di una sorveglianza continua, popolava gli istituti manicomiali, “ove la convivenza con i dementi comuni non poteva che aggravare sempre più le loro condizioni psichiche”. Venivano accolti bambini dall’età compresa fra i 5 e 15 anni, con eccezioni per ragazzi più grandi, purché suscettibili di un’educazione intellettuale, “morale” e professionale, criterio di selezione indispensabile per evitare che l’istituto divenisse un asilo-ricovero per “incurabili”. L’istituto avrebbe dovuto contribuire all’avanzamento della scienza poiché “luogo artificiale” dove poter studiare i piccoli disabili mentali – ancora poche, infatti, erano le conoscenze scientifiche riguardo ai frenastenici – e dove poter ottenere, mettendo in pratica i metodi della nascente pedagogia scientifica, quei miglioramenti fisici e mentali che avrebbero consentito di restituire questi fanciulli alla società con un minimo di autosufficienza e con una competenza manuale che li rendesse in grado di esercitare un mestiere. Tutto ciò veniva espresso da Tamburini in una relazione inviata all’Associazione Emiliana nell’aprile del 1902. Allo psichiatra spettava la sovraintendenza sanitaria dell’istituto insieme a Brugia e a Francesco Roncati, direttore del Manicomio di Bologna, e proprio a Tamburini si deve la prima idea di creare un istituto medico-pedagogico nella regione emiliana.

Oltre agli intenti scientifici, avevano giocato un grande ruolo nella tempestività con cui si era mossa l’Emilia Romagna nella creazione dell’istituto la necessità di far fronte al sovraffollamento dei tre importanti manicomi della regione, la speranza di poter alleggerire il bilancio economico delle amministrazioni provinciali che provvedevano al mantenimento dei malati ricoverati negli istituti manicomiali e la fiducia di compiere un’azione di profilassi sociale, cogliendo per tempo, attraverso una capillare e costante osservazione, quei “germi antisociali” che venivano associati alla debolezza mentale. 2

L’edificio dell’istituto era dotato di ampi locali spaziosi e arieggiati, di dormitori divisi in sezioni separate per maschi e femmine, poveri e agiati, puliti e non puliti, di refettori, infermerie, aule per lo studio e per le lezioni di musica e di canto, giardini per le passeggiate e la ricreazione. Vi erano officine, laboratori di arte e mestieri, un impianto agricolo, palestre per la ginnastica medica e ortopedica, gabinetti di massoterapia, idroterapia ed elettroterapia e tutti gli strumenti necessari per l’esame antropometrico, fisico e psicometrico. I bambini erano mandati dalle province, dai comuni, dalle congregazioni di carità, dai brefotrofi e da altri istituti di beneficienza che pagavano una retta giornaliera “speciale” per il loro mantenimento (L. 1.20). Più alta invece era la pensione per i fanciulli delle famiglie agiate e alcuni posti, per iniziativa di Sanguinetti, erano gratuiti. Proprio Sanguinetti decise di prendersi carico del mantenimento della prima bambina che fu ammessa all’istituto.

Nel giugno del 1900, a un anno dall’apertura, l’istituto contava già una sessantina di allievi, provenienti inizialmente dai manicomi di Reggio Emilia, Bologna, Imola, Colorno. Numerose poi erano le domande avanzate dai privati che dimostravano come la nascita di un istituto fosse diventata un’urgenza, soprattutto per quelle famiglie che si erano dimostrate restie al ricovero manicomiale, unica risposta concreta presente in Italia per la gestione dei piccoli idioti prima della nascita degli istituti medico-pedagogici.

Un numero sempre maggiore di ammissioni (nel dicembre del 1901 i bambini ospitati erano 149 e l’anno successivo 221), la conseguente mancanza di locali adatti per le necessarie separazioni di frenastenici e per l’isolamento nei frequenti casi di malattie epidemiche e l’insufficienza delle condizioni di igiene e di salubrità spinsero il proprietario, di comune accordo con l’Associazione Emiliana, a decidere di trasferire l’istituto a Bertalia, piccola frazione del Comune di Bologna, in una villa signorile composta da “due palazzine separate da ombrose praterie, boschetti e giardini, rispondenti oltre che all’igiene all’estetica” affinché “la quieta bellezza dell’ambiente” contribuisse “beneficamente alla serenità e all’elevazione di quei miseri”. 3

Era direttore sanitario Alfredo Perugia, psichiatra che aveva lavorato per molto tempo nel Manicomio di Reggio Emilia e che aveva sostituito nella direzione sanitaria dell’istituto, nell’aprile del 1901, il medico del servizio sanitario di San Giovanni in Persiceto Teofilo Ungarelli. Perugia era affiancato da un medico assistente, da un chirurgo chiamato a svolgere le autopsie – nei primi due anni di vita dell’istituto la mortalità era stata altissima, la mancanza di acqua potabile e frequenti epidemie avevano trovato un terreno fertile nella fragilità costituzionale e nella salute precaria dei piccoli deficienti – e da uno specialista in otorinolaringoiatria, dedito ai disturbi legati al linguaggio frequentissimi nei frenastenici.

Direttore didattico, di fatto sin dai primi mesi di apertura dell’istituto, ufficialmente dal maggio del 1903, era il medico Ugo Pizzoli, il quale aveva messo a disposizione gratuitamente il materiale didattico destinato all’educazione dei sensi, dei movimenti e del linguaggio del “Laboratorio di Pedagogia Scientifica”, da lui fondato a Crevalcore nel 1899. Aveva fatto impiantare nell’istituto un gabinetto psico-antropologico per gli esami antropometrici, fisiologici e psicologici necessari alla compilazione delle “carte bio-nosografiche” degli scolari e si occupava di insegnare ai maestri dell’istituto i metodi della moderna pedagogia, dando loro istruzioni su come compiere i vari esami e sull’utilizzo degli strumenti tecnici di misurazione e di sperimentazione. 4 Quando Pizzoli nell’agosto del 1902 organizzava il primo corso estivo per i maestri elementari, l’Istituto medico-pedagogico emiliano, insieme alla sezione scuola-asilo per i fanciulli rachitici dell’Istituto ortopedico Rizzoli, era una delle mete scelte per le “gite didattiche” che si alternavano alle lezioni teoriche. 5

Ma solo con l’arrivo alla direzione sanitaria, nel settembre del 1903, dello psichiatra Giulio Cesare Ferrari l’Istituto medico-pedagogico emiliano divenne un punto di riferimento nazionale e arrivò a ospitare più di trecento bambini provenienti da numerose regioni italiane, luogo di studio e di produzione scientifica e, di fatto, parte del progetto più articolato di Ferrari che riguardava lo sviluppo della psicologia sperimentale in Italia. Quando Ferrari, nell’anno accademico 1904-1905, otteneva la possibilità di tenere un corso libero di psicologia sperimentale e psicopatologia per gli studenti della Facoltà di medicina dell’Università di Bologna l’istituto di Bertalia diveniva il laboratorio vivente dove svolgere le sue lezioni. Di più: alle lezioni universitarie e alla direzione dell’istituto lo psichiatra affiancava il primo periodico italiano di psicologia. La Rivista di psicologia applicata alla pedagogia e alla psicopatologia, il cui primo numero usciva nel febbraio del 1905, era lo “specchio scientifico” dell’istituto e la testimonianza dell’intimo legame fra la nuova pedagogia scientifica d’indirizzo positivistico e la nascita della psicologia sperimentale in Italia. 6

Quando assunse la nomina di Direttore Medico dell’Istituto medico-pedagogico emiliano, Ferrari era già a conoscenza della difficile situazione in cui si trovava l’istituto, dei problemi legati soprattutto al numero sempre crescente di ammissioni e alla conseguente insufficienza di insegnanti e di spazi di studio e di lavoro che rendevano costante il rischio di trasformare l’istituto in un mero ricovero di deficienti, data l’urgenza di privilegiare l’assistenza trascurando l’educazione. Da più di un anno, infatti, lo psichiatra faceva parte della Commissione di Sorveglianza della Associazione Emiliana in quanto delegato di Tamburini, aveva più volte visitato l’istituto fornendo resoconti dettagliati integrati con numerose proposte di miglioramento. In una relazione destinata all’Associazione Emiliana lo psichiatra sottolineava come fosse necessario, per mantenere l’indirizzo scientifico e pedagogico cui era stato votato l’istituto, regolare le ammissioni escludendo i fanciulli che presentavano malattie fisiche rilevanti o stati nevrastici gravi, conferire piena autorità al direttore medico sull’andamento disciplinare e didattico del personale (precedentemente competenza del direttore amministrativo Gardini) ed equipaggiare l’istituto di tutto quell’armamentario scientifico e terapeutico indispensabile per le indagini fisiche e psicologiche dei fanciulli. Affinché l’istituto divenisse un centro clinico di ricerca era poi necessario, per Ferrari, creare un “archivio clinico” in cui raccogliere e iniziare a catalogare le storie cliniche, le tabelle bio-nosografiche, i diari compilati dai maestri con le preziose informazioni sui ricoverati, i reperti necroscopici, le note mensili e i resoconti morali stesi dal medico direttore, e dotare l’istituto di una biblioteca aggiornata con le opere e le riviste della specialità. Proponeva poi di arricchire le cartelle bio-nosografiche con moduli individuali che fornissero il resoconto dello sviluppo progressivo di ciascun fanciullo, in cui era indispensabile per lo psichiatra inserire anche i dati psicologici, tenendo conto soprattutto “dei fenomeni emotivi, del temperamento, del carattere, delle disposizioni affettive, mentali e manuali”. Saranno queste le linee direttive a partire dalle quali Ferrari compirà una capillare opera di riorganizzazione dell’Istituto medico-pedagogico emiliano, una volta diventato direttore. 7

Ferrari fu direttore dell’Istituto medico-pedagogico emiliano fino al dicembre del 1907. Non riuscì nel suo intento volto a rendere l’istituto un Ente pubblico affidandone l’amministrazione alle province emiliane. Insanabili conflitti di responsabilità e di interessi con il proprietario Gardini, le cui idee amministrative per Ferrari miravano esclusivamente alla speculazione privata diventando un ostacolo per il mantenimento dell’indirizzo scientifico dell’istituto e per l’attuazione di nuove iniziative che lo psichiatra avrebbe voluto realizzare,8 spinsero Ferrari ad accettare la direzione del Manicomio di Imola, dove coltiverà più liberamente i suoi nuovi interessi scientifici sempre più diretti allo studio e all’educazione degli “irregolari della morale”. Una delle iniziative, esposte da Ferrari nell’ambito di una relazione sull’istituto inviata al Prefetto di Bologna,9 riguardava “la lotta contro la delinquenza infantile”. Ferrari riuscirà a realizzare il progetto a Imola quando fonderà nel 1910 una colonia libera per deficienti gravi e giovani criminali provenienti dalle carceri, dai riformatori e dagli istituti bolognesi per l’infanzia abbandonata.

Il 1 gennaio del 1908 Ferrari assumeva la direzione del Manicomio di Imola sostituendo Brugia che, dopo la morte di Roncati, era diventato direttore del manicomio di Bologna; la direzione sanitaria dell’istituto di Bertalia passava così nelle mani del giovane assistente di Ferrari, Umberto Neyroz che la resse fino al 1911, anno in cui, insieme alla moglie Vittorina Lamieri, una delle maestre dell’Istituto medico-pedagogico emiliano, decise di fondare la Scuola Autonoma (privata) Neyroz destinata all’educazione dei piccoli disabili mentali di condizioni agiate.

In quell’anno il proprietario Socrate Gardini affittò l’Istituto medico-pedagogico emiliano a un privato, Alfredo Borelli. La direzione medica dell’istituto di Bertalia fu retta per breve tempo dal giovane psichiatra Luigi Baroncini, allora assistente di Ferrari a Imola e tra i primi cultori della psicoanalisi in Italia. 10

L’istituto (dal 1915 nuovamente sotto la direzione di Gardini) continuò ad accogliere i piccoli frenastenici di diverse regioni italiane almeno fino alla fine del 1917,11 per essere poi requisito dalle forze armate,12 sebbene, negli anni successivi alle dimissioni di Neyroz, il suo prestigio scientifico fosse notevolmente diminuito, avendo perso – ridotto a mero ricovero come tanti altri – quelle funzioni “medico-pedagogiche” che, durante la direzione scientifica di Ferrari, l’avevano reso una struttura all’avanguardia in Italia.

Alessandra Cerea

BIBLIOGRAFIA:

Valeria Paola Babini, La questione dei frenastenici. Alle origini della psicologia scientifica in Italia (1870-1910), Milano, Angeli, 1996

Valeria Paola Babini, “Come nacque la Rivista di psicologia”, in Glauco Ceccarelli (a cura di), La psicologia italiana all’inizio del Novecento. Cento anni dal 1905, Milano, Angeli, 2010, pp. 279-289

G. Ferrara, A. Gariboldi, Relazione sul primo corso di pedagogia scientifica tenuto in Crevalcore nell’agosto 1902, Torino, Libreria Paravia, 1902

Giulio Cesare Ferrari, “L’assistenza dei fanciulli deficienti in Italia il suo passato e il suo presente”, Rivista sperimentale di freniatria, XXIX, fasc. I-II, 1903, pp. 316-323

Giulio Cesare Ferrari, “L’organizzazione e il riordinamento dell’Istitituto medico-pedagogico emiliano di Bertalia” (1904), in Pinuccia Soriano (a cura di), Gli scritti di Giulio Cesare Ferrari sulla igiene mentale ed altri documenti, Milano, Idami, 1967

Giuseppe Guicciardi, recensione a Giulio Cesare Ferrari, “L’organizzazione …”, cit., Rivista sperimentale di freniatria, XXX, 1904, pp. 960-961

Provincia di Bologna. Ufficio di Economato, L’istituto medico-pedagogico emiliano di Bertalia. Relazione e proposte, dattiloscritto, 1906

Aristide Mingarelli, Carlo Tavernari, Relazione e proposte dei commissari Mingarelli Cav. Aristide e Tavernari Cav. Carlo in ordine all’andamento amministrativo dell’Istituto medico-pedagogico di Bertalia, Minerbio, Tipo-litografia Bevilacqua, 1905

Angela Morisi, “L’Istituto medico-pedagogico emiliano di San Giovanni in Persiceto”, Strada maestra, 1, pp. 86-95, 1968

Augusto Tamburini, L’odierno movimento in Italia per la cura e l’educazione dei frenastenici, Reggio Emilia, Tip. Calderini, 1899

Augusto Tamburini, Le conquiste della psichiatria nel secolo XIX e il suo avvenire nel XX secolo, XI Congresso Freniatrico in Ancona, Reggio Emilia, Tip. Calderini, 1901

NOTE:

1. Cfr. V. P. Babini, La questione dei frenastenici. Alle origini della psicologia scientifica in Italia (1870-1910), Milano, Angeli, 1996. I materiali d’archivio che descrivono e documentano la nascita, l’attività e l’organizzazione dell’Istituto medico-pedagogico emiliano (fino al 1904, anno in cui l’Associazione Emiliana si sciolse) sono conservati presso l’Archivio Storico Provinciale di Bologna (Archivio della Associazione emiliana per la protezione dei fanciulli deficienti).

2. Cfr. V. P. Babini, op. cit.

3. G. Ferrara, A. Gariboldi, Relazione sul primo corso di pedagogia scientifica tenuto in Crevalcore nell’agosto 1902, Torino, Libreria Paravia, 1902 (Archivio Storico Provinciale di Bologna)

4. Cfr. “Relazione di Ugo Pizzoli sull’attività educativa svolta presso l’Istituto Medico-Pedagogico di Bertalia” (luglio 1903), 2. Deficienti. Carte sciolte (Archivio Storico Provinciale)

5. Cfr. V. P. Babini, op. cit.

6. Cfr. V. P. Babini, op. cit. e “Come nacque la Rivista di psicologia”, in G. Ceccarelli (a cura di), La psicologia italiana all’inizio del Novecento. Cento anni dal 1905, Milano, Angeli, 2010, pp. 279-289

7. Cfr. “Resoconto dell’ispezione effettuata da Ferrari fra l’Istituto Medico-Pedagogico di Bertalia e il Laboratorio di Pedagogia scientifica (gennaio 1903)”, in 2. Deficienti. Carte sciolte, G.C. Ferrari “Relazione all’Onorevole Comitato Direttivo della Associazione Emiliana per la protezione dei fanciulli deficienti, sulle condizioni dell’Istituto Medico-Pedagogico Emiliano. Resoconto morale, statistico e sanitario per l’anno 1903”, in 1.6 Deficienti. Istituto Medico Pedagogico di S. Giovanni in Persiceto (Archivio Storico Provinciale di Bologna), e G. C. Ferrari, “L’organizzazione e il riordinamento dell’Istitituto medico-pedagogico emiliano di Bertalia” (1904), in P. Soriano (a cura di), Gli scritti di Giulio Cesare Ferrari sulla igiene mentale ed altri documenti, Milano, Idami, 1967

8. Cfr. le relazioni di Ferrari allegate ai due documenti: Relazione e proposte dei commissari Mingarelli Cav. Aristide e Tavernari Cav. Carlo in ordine all’andamento amministrativo dell’Istituto medico-pedagogico di Bertalia, Minerbio, Tipo-litografia Bevilacqua, 1905 e L’istituto medico-pedagogico emiliano di Bertalia. Relazione e proposte (Provincia di Bologna. Ufficio di Economato), dattiloscritto, 1906, Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna.

9. Con l’attuazione della legge n. 36 relativa alle “disposizioni sui manicomi e sulla custodia e cura degli alienati”, promulgata il 14 febbraio 1904, la vigilanza sull’istituto emiliano era diventata di competenza di una Commissione provinciale di sorveglianza sui Manicomi, composta dal Prefetto, dal medico provinciale e da un medico alienista nominato dal Ministro dell’Interno.

10. Nel 1908 pubblica sulla Rivista di psicologia, fondata da Ferrari nel 1905, l’articolo “Il fondamento e il meccanismo della psicoanalisi” e la traduzione di un saggio di Carl Gustav Jung sulla psicologia criminale. Queste ultime informazioni sulla sorte dell’istituto sono tratte dal diario personale di Vittorina Lamieri.

11. Si ringrazia Gianpaolo Ornaghi per avermi segnalato che l’istituto continuò la sua attività per tutto il 1917 sotto la direzione di Socrate Gardini. Queste informazioni (documentate dalla presenza dei registri degli invii di fanciulli pesaresi all’istituto emiliano, di numerose comunicazioni sottoscritte da Gardini e di riferimenti all’istituto di Bertalia nelle carte d’archivio, consultate da Ornaghi, conservate all’Archivio di Stato di Pesaro) sono contenute nella sua tesi di laurea, dal titolo Educare gli incurabili. I frenastenici nella provincia di Pesaro e Urbino (1899-1918), discussa all’Università di Bologna nel marzo 2014.

12. Cfr. Angela Morisi, “L’Istituto medico-pedagogico emiliano di San Giovanni in Persiceto”, Strada maestra, 1, pp. 86-95, 1968

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