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Giulio Cesare Ferrari e il personale dell’Istituto medico-pedagogico emiliano

L’Associazione Emiliana per la protezione dei fanciulli deficienti nominò Giulio Cesare Ferrari Direttore Medico dell’Istituto medico-pedagogico di Bertalia il 1 agosto del 1903. Il giovane psichiatra, allora poco più che trentenne, entrava in servizio il mese successivo con l’intento di compiere una capillare opera di “moderna riorganizzazione”. 1 Voleva rendere l’istituto emiliano un centro clinico di ricerca che fosse all’altezza degli istituti sorti in altre nazioni europee a cavallo dei due secoli e un modello nazionale esemplare che rispecchiasse le iniziative e i primi risultati raggiunti in Italia di quel movimento sorto per lo studio, l’educazione e l’assistenza dei piccoli disabili mentali, ufficializzato con la nascita a Roma, nel gennaio del 1899, della Lega Nazionale per la protezione e la cura dei fanciulli deficienti.
Interessi personali, scientifici, filantropici e sociali spinsero Ferrari a lasciare il Manicomio di Venezia, dove era vicedirettore dal 1902, per assumere la direzione dell’istituto di Bertalia, prospettiva a prima vista così poco allettante per la carriera di uno psichiatra.

Dopo la laurea in medicina, conseguita a Bologna nel 1892 con il fisiologo Pietro Albertoni, Ferrari iniziò a collaborare, come medico-assistente, con Augusto Tamburini – il “Maestro” che lo guiderà nella sua carriera scientifica e che, soprattutto, gli darà l’esempio di un particolare modo di fare scienza in cui sperimentazione, divulgazione e didattica sono profondamente interconnesse – nel Manicomio San Lazzaro di Reggio Emilia, istituto psichiatrico modello e centro nevralgico di ricerca scientifica nell’Italia di inizio secolo. 2

Qui, in parallelo ai “primi passi” nell’attività di clinica psichiatrica sotto la guida di Tamburini, Vassalle, Ruggeri e Guicciardi, diventava segretario di redazione e poi redattore capo della Rivista sperimentale di freniatria, organo rappresentativo della Società italiana di freniatria, la cui fondazione, avvenuta nel 1873, aveva sancito la nascita ufficiale della psichiatria italiana.
Profondamente attratto dallo “studio scientifico della psiche” e consapevole dell’inadeguatezza della sua preparazione universitaria al riguardo, che non lo faceva sentire all’altezza dei ruoli di responsabilità ottenuti all’interno dell’istituto, lesse Griesinger, Bain, Spencer, Wundt, Baillager, Charcot, Fére, Binet, Janet, Richet ed entrò in contatto con i due padri dell’antropologia italiana Cesare Lombroso e Paolo Mantegazza. Ma fu la lettura del primo numero della rivista creata da Alfred Binet nel 1895, l’Année psychologique – racconta Ferrari nella sua autobiografia 3– l’avvenimento davvero decisivo della sua vita che gli consentì di ordinare il caos di nozioni disparate e confuse immagazzinate con le sue letture indicandogli il percorso da seguire. Nel 1896, dopo un soggiorno di sei mesi nel piccolo laboratorio di psicologia di Alfred Binet alla Sorbona, dove lavorò intensamente apprendendo i recenti studi sui test mentali e sulla “misurazione metrica dell’intelligenza”, otteneva da Tamburini la possibilità di istituire al San Lazzaro, accanto ai gabinetti scientifici di batteriologia, chimica e istologia, il “primo laboratorio di psicologia sperimentale in Italia”. Ferrari ampliò e attrezzò con i più moderni strumenti il laboratorio già allestito da Gabriele Buccola negli anni Ottanta per le sue pioneristiche ricerche di psicometria: da qui voleva far decollare in Italia lo studio della psicologia sperimentale, una psicologia scientifica orientata, come nella tradizione francese, allo studio della personalità e dell’intelligenza e in stretta connessione alla psicopatologia, quindi molto diversa da quella portata avanti dal suo predecessore più vicina allo sperimentalismo scientista di Wundt. 4 Ferrari ritroverà questa visione eclettica della psicologia, libera dall’ingombrante tradizione filosofica e contemporaneamente non del tutto riducibile alla fisiologia, nella psicologia antisistematica e antiscolastica dei Principles of Psychology (1890) di William James, opera che lesse durante il soggiorno parigino decidendo immediatamente di tradurla. La fortunata traduzione dei Principi di psicologia, integrata con note, approfondimenti e aggiornamenti bibliografici, uscirà nel 1901, ne saranno vendute ben ventimila copie in tre anni e nell’arco di dieci sarà riedita tre volte.
Nel suo progetto di sviluppare la psicologia scientifica e di divulgarla suscitandone l’interesse in Italia – qui si collocano la traduzione del James, l’incarico di insegnamento di psicologia sperimentale nella Facoltà di medicina dell’Università di Bologna, ottenuto a partire dall’anno accademico 1904-1905, e la fondazione nel 1905 della Rivista di psicologia applicata alla pedagogia e alla psicopatologia, per quindici anni unico periodico italiano di psicologia – Ferrari sarà sempre fedele a questa idea plurisfaccettata di psicologia capace di rendere conto delle più diverse manifestazioni dello psichico e di rivolgersi, con la sua potenzialità applicativa, alla vita reale di individui concreti. 5 Con questo sguardo indirizzerà i suoi interessi verso i problemi dell’infanzia e della scuola, verso questioni istituzionali e di “tecnica manicomiale”, verso la psicologia del soldato e della guerra e, negli ultimi anni della sua vita, verso problemi di psicotecnica e di organizzazione del lavoro.

Già dal titolo scelto da Ferrari per la sua rivista si evince il forte legame che per lo psichiatra intercorreva fra psicologia, psicopatologia e pedagogia. Convinto del ruolo della psicologia di comprendere la mente umana e di agire su di essa sia a livello terapeutico che educativo, convinto della labilità del confine fra normale e patologico e di un metodo che partiva dall’osservazione della patologia per giungere alla conoscenza della normalità, Ferrari poneva la scienza psicologica a fondamento della psichiatria. 6 Già durante la prima attività svolta nel laboratorio di psicologia sperimentale, da lui diretto fino al 1902, il giovane psichiatra introduceva in Italia i tests sull’intelligenza di Binet con la particolarità di adattarli e applicarli ai malati dell’istituto psichiatrico con il fine di farne emergere le “differenze psichiche individuali” e durante la lunga e costante attività istituzionale, che lo vedrà direttore del Manicomio di Imola (1908-1924) e di Bologna (1924-1932), manterrà sempre un approccio psicologico alla malattia mentale rivolto più all’individualità del malato che alla malattia.

Nella pratica manicomiale Ferrari introdurrà, per primo in Italia 7, rappresentazioni teatrali eseguite dai ricoverati e su questioni di “tecnica manicomiale” si pronuncerà con idee molto innovative per il tempo dichiarandosi favorevole al no restraint, sottolineando l’effetto patogeno sui malati dell’istituzione manicomiale e ipotizzando addirittura l’abolizione completa dei manicomi attraverso forme di assistenza extramanicomiale sul territorio. Riuscirà a concretizzarne alcune – ne sono un esempio la fondazione a Bologna nel 1922 di un patronato di assistenza per i malati poveri dimessi dal manicomio e della colonia agricola di San Luca per i ricoverati e gli ex-degenti psichiatrici – rispecchiando nella sua figura l’ideale, tipico del positivismo umanitario e pragmatico di inizio secolo, dello scienziato attivo nel sociale che, convinto del progresso dell’umanità attraverso la scienza, organizza associazioni e istituzioni 8– tra le più importanti ricordiamo la fondazione nel 1924 della Lega italiana per l’igiene mentale – partecipa a conferenze e congressi, mantiene i contatti con i più illustri studiosi del secolo e agisce costantemente sul versante della divulgazione scientifica e del coordinamento culturale del Paese.
Per Ferrari quindi la psicologia è strumento di conoscenza, di cura e di educazione, fondamento scientifico della psicopatologia e della pedagogia e deve agire nell’ottica di un programma sociale e di salute pubblica.
Date queste premesse è facile capire come lo psichiatra sia presto giunto a interessarsi al problema dello sviluppo della mente infantile, dedicandosi prima, durante la direzione dell’Istituto medico-pedagogico emiliano (1903-1907), alla causa dell’infanzia cosiddetta degenerata e poi al problema della criminalità infantile nei suoi risvolti psicologici e istituzionali. Furono numerosissime le iniziative di Ferrari in questo ambito: nel 1910 fondava a Imola, con la collaborazione della maestra Gabriella Francia, la Colonia libera per deficienti gravi e giovani criminali, nel 1921, in quanto membro della Commissione Reale per la riforma del codice penale presieduta da Enrico Ferri, si preoccupava di fare inserire appositi articoli per i minorenni, nello stesso anno a Bologna faceva aprire un reparto speciale separato per minorenni nel carcere di San Giovanni in Monte e nel 1932, a pochi mesi dalla morte – membro insieme a Sante De Sanctis della commissione per lo studio dei minorenni abbandonati, traviati e delinquenti nell’OMNI (Opera nazionale maternità e infanzia) e consulente alla Società Protettrice dei fanciulli abbandonati e maltrattati a Bologna – fondava un consultorio per il trattamento neuropsichiatrico e la guida morale dei fanciulli presso la clinica pediatrica dell’Ospedale Gozzadini di Bologna.9

Nell’agosto del 1903, quando veniva nominato direttore dell’Istituto medico-pedagogico emiliano, Ferrari era già uno psichiatra conosciuto: era da due anni docente di psichiatria presso l’Università di Modena, il suo laboratorio di psicologia sperimentale era divenuto un importante centro di ricerca scientifica e un grandissimo successo aveva riscosso la sua traduzione dei Principles of Psychology di James. La sua nomina era nell’aria: già da due anni era membro della Commissione di Sorveglianza dell’istituto in quanto delegato di Tamburini e i suoi interessi per la psicologia l’avevano presto indirizzato verso lo studio dei piccoli disabili mentali, di cui sarebbe diventato presto un importante referente scientifico. Era entrato in contatto con chi a livello nazionale e internazionale si era occupato dell’educazione dei deficienti e aveva visitato gli istituti diretti da Olive Decroly a Bruxelles e Edouard Claparède a Ginevra. Nel 1901 aveva pubblicato sulla Rivista sperimentale di freniatria un dettagliato articolo sulle iniziative svolte dalla Lega nazionale per la cura e la protezione dei fanciulli deficienti e lodava l’attività svolta dal suo promotore, lo psichiatra Clodomiro Bonfigli, e dai suoi collaboratori, i giovani medici Giuseppe Montesano e Maria Montessori.
L’anno successivo, nell’ambito del congresso internazionale di Anversa sull’assistenza degli alienati, aveva esposto la storia dell’assistenza pedagogica dei fanciulli deficienti in Italia reclamando l’opportunità sociale e il dovere dello stato di provvedere all’assistenza dei piccoli disabili mentali 10 e, nell’estate della nomina di direttore dell’istituto emiliano, era stato chiamato a svolgere lezioni di ortofrenia presso la scuola estiva di pedagogia scientifica per maestri, organizzata a Crevalcore dal medico Ugo Pizzoli.
“Il momento è dei deficienti”, avrebbe scritto Ferrari in uno dei primi articoli della sua rivista di psicologia. La direzione dell’istituto emiliano sarebbe potuta diventare il trampolino di lancio per la sua carriera professionale e soprattutto, l’occasione scientifica per far decollare il suo progetto di sviluppare la psicologia sperimentale in Italia. Nondimeno Ferrari sperava, trasferendo la libera docenza in psichiatria a Bologna, di avvicinarsi a una Università dove non fosse impensabile ottenere l’incarico di insegnamento di psicologia sperimentale, che infatti avrebbe assunto a partire dall’anno accademico 1904-1905 scegliendo l’istituto di Bertalia come “laboratorio vivente” per le sue lezioni. 11

In una relazione inviata all’Associazione Emiliana nel 1904 – “L’organizzazione ed il riordinamento dell’Istituto medico pedagogico emiliano di Bertalia” 12 – Ferrari riassumeva l’opera compiuta nel primo anno di direzione dell’istituto e annunciava i due scopi che l’avevano spinto ad accettare quel “non facile compito” e che si prefiggeva di raggiungere durante gli anni successivi di direzione.

Da una parte sottolineava l’importanza sociale che avrebbe assunto l’istituto contribuendo a risolvere in Italia “la questione della protezione integrale dei frenastenici, e della loro utilizzazione per indennizzare, almeno parzialmente, la società delle spese che sostiene per curarli o per difendersi da loro”, dall’altra ne sottolineava lo scopo scientifico: rendere l’istituto un centro clinico di studio e di produzione scientifica, un laboratorio dove poter osservare “in funzione” i piccoli deficienti, dove poterne indagare lo sviluppo mentale nel suo svolgersi per cogliere quelle regole “ben differenti da quelle che sono le più comuni fra i ragazzi normali” e per riempire di contenuti quello che si era rivelato “mondo intellettuale a sé”. La meta finale era dare ordine all’”anarchia di fenomeni” osservati intorno alle frenastenie per trovare le linee direttive attraverso cui tentare una classificazione.
Dopo una serie di iniziative per il miglioramento delle condizioni igieniche – rese subito necessarie da una grave epidemia di tifo e dalle diverse difficoltà dovute al sovraffollamento dell’istituto – e dopo aver attrezzato l’istituto di tutti gli strumenti e del materiale scientifico necessari allo studio e all’indagine sperimentale, lo psichiatra iniziava una capillare e razionale opera di riorganizzazione. Per far questo, dopo aver ottenuto la completa autorità sanitaria disciplinare e didattica sul personale dell’istituto, Ferrari organizzò un’efficiente equipe di collaboratori composta dal valido assistente Umberto Neyroz, da medici specialisti – Giuseppe Bazzocchi oculista, Gino Ricchi chirurgo e G. Mendini esperto in otorinolaringoiatria – da infermieri e da maestri.
Molta importanza veniva data dallo psichiatra al ruolo svolto all’interno dell’istituto dagli infermieri e dai maestri, di fatto le figure che trascorrevano più tempo con i bambini. Li selezionò con attenzione e si preoccupò della loro formazione organizzando una scuola serale con lezioni di anatomia, fisiologia, igiene ed etica professionale. Non mancò mai di responsabilizzarne e valorizzarne il lavoro, lasciando soprattutto ai maestri moltissima libertà d’iniziativa e tenendo conto sempre della loro opinione sui casi osservati.
Oltre ai classici compiti di pulizia degli ambienti dell’istituto, di sorveglianza dei fanciulli negli orari extrascolastici e di collaborazione con i medici nelle applicazioni terapeutiche, gli infermieri avevano il compito di compiere una volta al mese le misurazioni antropometriche degli allievi (peso, statura, capacità polmonare, forza dinamometrica delle due mani) e di compilare giornalmente numerosi registri muniti di tabelle preparate da Ferrari in cui annotare i fatti patologici riscontrati, le cure, i medicinali e le diete somministrati, gli accessi epilettici, i cicli mestruali e le diverse occupazioni dei singoli bambini, stendendo a fine giornata un rapporto sull’andamento dell’istituto.
I maestri avevano il compito di osservare attentamente e costantemente gli alunni durante tutto l’arco della giornata, durante gli orari scolastici, le passeggiate, i pasti e la ricreazione, fornendo al direttore il più ricco materiale di indagine e di ricerca. Aiutavano i medici nelle “ricerche antropometriche e psicologiche” e nell’aggiornamento delle “carte biografiche” dei piccoli ospiti, tenevano un registro in cui annotare giorno per giorno l’argomento delle lezioni, il nome degli alunni assenti, il rendimento di quelli presenti e “tutte le osservazioni eventuali” che potevano averli colpiti. A fine giornata ogni maestro stendeva una relazione per ciascun alunno. Alla fine di ogni mese un insegnante a turno compilava una “nota riassuntiva” sul contegno e sul profitto dei singoli bambini e due volte al mese medici, maestri e ispettori si incontravano per esporre i propri dubbi e per discutere e interpretare insieme le proprie osservazioni.
I maestri in servizio erano otto, quattro per la sezione maschile e due per quella femminile, c’era poi un maestro di tromba e uno di musica e di canto. Oltre all’insegnamento oggettivo, a lezioni di disegno, lezioni “morali” e di “ginnastica da pavimento”, erano impartite lezioni di lavoro manuale e “industriale” (lavori in carta, cartone, fil di ferro e legno, lavorazioni delle stuoie e della treccia di paglia, lavori in vimini, legatoria dei libri, confezioni dei cordoni e delle reti, lavorazione di sporte e di giocattoli, lavori nelle officine di calzolaio, di falegname, di fabbro ferraio, di materassaio e di sarto per i maschi e lavori di “nettezza della casa”, di ricamo, di cucito e di calza per le femmine).

Il materiale prodotto dai piccoli ricoverati era raccolto in un “museo psicologico” di cui ci fornisce una dettagliata testimonianza, integrata con numerose fotografie, uno dei maestri dell’istituto, Giuseppe Pennazza, nel volume Piccolo mondo primitivo, che usciva nel 1909 con una breve prefazione di Cesare Lombroso.
Nonostante i risultati più che soddisfacenti dell’istruzione – la maestra Vittorina Lamieri nell’estate del 1904 portava all’esame della seconda e della terza classe elementare 36 alunni, che venivano tutti promossi con ottimi voti – Ferrari dava particolare valore al ruolo educativo e terapeutico del lavoro che doveva essere insegnato ai fanciulli come “un dovere dell’uomo sociale, che deve lavorare per vivere e per sentirsi contento di sé”, sottolineandone poi il ruolo di profilassi sociale e la sua importanza pratica ed economica: attraverso l’apprendimento di un mestiere i fanciulli dimessi avrebbero potuto rendersi utili alla società e non sarebbero giunti, spinti dall’ozio e dall’inoperosità, a condurre una “vita pericolosa”. L’istruzione era invece per lo psichiatra un utilissimo mezzo diagnostico per studiarli e per conoscerne le “oscillazioni mentali”. Era infatti “l’esame psicologico” che aveva destato l’interesse suo e del suo assistente “in modo del tutto particolare”, scriveva Ferrari nella relazione continuando con queste parole: “ci siamo sforzati e ci sforziamo di stabilire quali mezzi di analisi psicologica precisi, pratici ed obiettivi ci possano meglio servire, pel fatto di adattarsi non solo a tutti i nostri soggetti, ma a tutti loro nei diversi ‘momenti’ del loro sviluppo mentale. […] Dallo studio del contegno di questi individui di fronte all’istruzione si possono trarre elementi di studio importantissimi per la conoscenza della mentalità dei bambini normali, ed è questo un indirizzo di ricerche che ritengo dei più fruttiferi. Si tratterebbe di organizzare la difesa dei bambini normali contro ogni istruzione inadatta per loro”.
Era quindi particolarmente prezioso agli occhi dello psichiatra il materiale fornitogli dagli insegnanti, che Ferrari avrebbe utilizzato non solo per compilare le tabelle sulle condizioni psico-fisiche dei singoli alunni e per stendere i rapporti settimanali e le relazioni annuali sull’andamento dell’istituto: proprio dalle dettagliate osservazioni raccolte nei “diari giornalieri” degli insegnanti lo psichiatra avrebbe tratto gli spunti più interessanti per la scrittura dei primi articoli che sarebbero stati pubblicati sulla Rivista di psicologia applicata alla pedagogia e alla psicopatologia, il primo periodico italiano di psicologia che Ferrari avrebbe fondato nel 1905, e che di fatto sarebbe stato “lo specchio scientifico” dell’Istituto medico-pedagogico emiliano. 13 Già nella relazione inviata alla Associazione emiliana lo psichiatra ne annunciava l’intenzione e gli iniziali intenti:

“Col primo del prossimo anno, poi, avrei intenzione di pubblicare un Giornale che dovrebbe raccogliere, in una parte specialmente i risultati degli studi che saranno fatti nell’Istituto e che ci saranno mandati da Colleghi; mentre un'altra parte sarà destinata alle bibliografie, alle recensioni, onde tenere i lettori (che speriamo di trovare in buon numero anche fra i maestri) al corrente del movimento del pensiero contemporaneo attorno alle grandi questioni che toccano l’infanzia anormale, la pedagogia scientifica, ecc. Il giornale sarà intitolato: Rivista di psicologia applicata alla pedagogia e alla psicopatologia, ed uscirà regolarmente ogni due mesi, in fascicoli di 64 pagine almeno”

Alla rivista avrebbe collaborato attivamente tutta “l’equipe” dell’istituto emiliano. Sul primo numero uscivano ben quattro articoli di Vittorina Lamieri, in cui la maestra riportava i “ritrattini” di alcune sue alunne più originali e le osservazioni fatte sui giochi delle bambine e sui loro automatismi mentali.
Vittorina Lamieri, appena ventenne, era entrata in servizio all’istituto di Bertalia nel maggio del 1904, dopo aver deciso di lasciare l’incarico di maestra elementare presso le Scuole Femminili di Via Cartoleria per inoltrarsi in quello che le era presto apparso “uno studio interessante della psiche umana”. Appassionatasi, dopo l’avida lettura di Zola, all’argomento dell’ereditarietà, che aveva deciso di approfondire leggendo testi di Lombroso, Mantegazza, De Sanctis, la maestra vide subito nella possibilità di lavorare nell’istituto per piccoli deficienti un’occasione da non perdere per dedicarsi a quegli studi in un ambiente professionale, sotto la guida di medici e di insegnanti specializzati, “un segno del destino” – scriverà molti anni dopo nel suo diario autobiografico. Dedicherà infatti tutta la vita con grande tenacia e passione all’educazione dei piccoli disabili mentali: nel 1911 con Umberto Neyroz, di cui era diventata la moglie, fondava nei “Villini Rosina”, sulla Strada del Genio fuori Porta D’Azeglio, la “Casa di Educazione ed Istruzione per fanciulli anormali di agiata condizione. Scuola Autonoma Neyroz” che, dopo la precoce morte del marito, continuò a dirigere fino al 1952. 14
Nel 1911 Neyroz aveva da quattro anni sostituito Ferrari nella direzione dell’Istituto medico-pedagogico emiliano. Era giunto a Bertalia mandato da Sante De Sanctis a cui Ferrari si era rivolto per avere un valido collaboratore. Con il celebre neuropsichiatra, allora aiuto nella clinica psichiatrica dell’Università di Roma diretta da Ezio Sciamanna, Neyroz si era laureato nel 1901 discutendo una tesi “sulla normalità del sonno nei normali e nei psicopatici” e aveva collaborato all’organizzazione dei primi Asili-scuola per l’educazione dei deficienti. Nella tesi continuava le ricerche di De Sanctis sul sonno e sui sogni e ne pubblicava i risultati l’anno successivo nella prestigiosa rivista The Psychological Review. 15

Numerosi contrasti con le idee amministrative del proprietario dell’istituto emiliano (gli stessi contrasti che avevano probabilmente mosso Ferrari a lasciare la direzione dell’istituto accettando quella del Manicomio di Imola) avevano spinto Neyroz a dare le dimissioni per realizzare l’idea di fondare una sua scuola per l’educazione dei piccoli deficienti.
Lamieri racconta nel suo diario che il giovane dottore si era subito dedicato con entusiasmo a questa impresa. Scelse l’arredamento, banchi nuovi disegnati da lui e sedie individuali che fossero comode, “volle eleganti le tovaglie a colori, le posate di alpacca, i piatti graziosi, il cibo abbondante”, costruì con l’aiuto di un falegname il materiale scolastico, ideandone sempre di nuovo in base alla mentalità e alle esigenze dei singoli scolari, studiò a fondo il metodo montessoriano, adattandolo di volta in volta a seconda dei singoli alunni, e inventò “stratagemmi” pedagogici e psicologici sempre in base alle personalità individuali dei bambini: “A uno che aveva tendenze alla fuga consegnò le chiavi del cancello con l’ordine di sorvegliare un collega, a un altro cleptomane dava un premio tutte le volte che consegnava la refurtiva e raccontava come se ne era impadronito ecc. ecc. Caro dottore! Come amava i suoi ragazzi e come li studiava, li proteggeva, li difendeva da loro stessi!”.
Sebbene l’idea originaria fosse stata quella di una scuola, di un esternato che non avrebbe ammesso epilettici o idioti gravi ma solo fanciulli recuperabili, il numero sempre maggiore di domande di ammissione da ogni parte d’Italia rese necessario trasformare l’istituto in internato, che a distanza di vent’anni arrivò a ospitare anche balbuzienti, coreici e “veri deficienti mentali”, e trasferirlo in un edificio più grande. Nel 1914 i coniugi Neyroz spostavano la scuola fuori Porta Saragozza in un complesso di “due belle ville grandi, interne, fra prato e bosco, due villette sulla via, da affittarsi, perché la proprietà intendeva cederle tutte e quattro ad un solo inquilino. Per noi, famiglia, ci tenemmo la Torretta, per il nostro internato la bella, grande Villa S. Anna e l’altra accanto: erano più di 50 ambienti in una delle più belle viottole dei nostri dintorni”.
Ben presto Lamieri si ritrovò a dirigere la scuola da sola: con lo scoppio della guerra Neyroz fu mandato al fronte in un ospedale da campo a San Giorgio di Nogaro. Il dottore tornò a Bologna nel 1919 molto malato – aveva contratto la spagnola – e morì pochi anni dopo. Le fu accanto Ferrari il quale aveva sempre nutrito una grande stima per l’intelligente maestra. Alla morte di Neyroz lo psichiatra si occupò della consulenza sanitaria dell’istituto in cui mandava costantemente i piccoli deficienti del Manicomio di Bologna dove era direttore dal 1924. Quando lo psichiatra ebbe l’idea di creare una “casa di smistamento” dove poter tenere i malati in osservazione prima di deciderne il ricovero manicomiale, si rivolse a Lamieri proponendole di adibire la sua scuola a questo compito, la maestra avrebbe steso le relazioni sui malati continuando ad occuparsi dell’educazione di qualche piccolo deficiente che Ferrari le avrebbe affidato. Per avvicinarsi alla città e allo psichiatra, spostava nuovamente l’istituto, questa volta fuori Porta S. Vitale, a “Villa Meridiana”, ma la morte di Ferrari, avvenuta nell’ottobre di quello stesso anno (1932) non rese possibile la realizzazione del progetto. La maestra riaprì la “Scuola Autonoma Neyroz”, che in pochi mesi, con la consulenza sanitaria dello psichiatra Luigi Baroncini, ritornava in piena attività. Lamieri diresse la scuola, superando i difficili anni della guerra che la videro per un breve periodo occupata dai nazisti, fino al 1952. 16

Le fotografie nel testo provengono dal fondo Giulio Cesare Ferrari, Aspi-Archivio storico della psicologia italiana, Università degli studi di Milano-Bicocca

Alessandra Cerea

BIBLIOGRAFIA:

Valeria Paola Babini, La questione dei frenastenici. Alle origini della psicologia scientifica in Italia (1870-1910), Milano, Angeli, 1996

Valeria Paola Babini, “Come nacque la Rivista di psicologia”, in Glauco Ceccarelli (a cura di), La psicologia italiana all’inizio del Novecento. Cento anni dal 1905, Milano, Angeli, 2010, pp. 279-289

Giulio Cesare Ferrari, “L’assistenza dei fanciulli deficienti in Italia il suo passato e il suo presente”, Rivista sperimentale di freniatria, XXIX, fasc. I-II, 1903, pp. 316-323

Giulio Cesare Ferrari, “L’organizzazione e il riordinamento dell’Istitituto medico-pedagogico emiliano di Bertalia” (1904), in Pinuccia Soriano, Gli scritti di Giulio Cesare Ferrari sulla igiene mentale ed altri documenti, Milano, Idami, 1967

Giulio Cesare Ferrari, “Autobiografia” (1933 - a cura di Mario Quaranta), in Giuseppe Mucciarelli (a cura di), Giulio Cesare Ferrari nella storia della psicologia italiana, Bologna, Pitagora Editrice, 1984, pp. 234-268

Eugenio Medea, “Giulio Cesare Ferrari e la cultura del suo tempo”, Rivista di psicologia, fascicolo giubilare, anno L, fasc. IV, 1956, pp. 13-26

Giuseppe Mucciarelli (a cura di), Giulio Cesare Ferrari nella storia della psicologia italiana, Bologna, Pitagora Editrice, 1984

Mario M. Rossi, “Lo spirito di Giulio Cesare Ferrari e la Rivista di psicologia”, Rivista di psicologia, fascicolo giubilare, anno L, fasc. IV, 1956, pp. 37-42

Pinuccia Soriano (a cura di), Gli scritti di Giulio Cesare Ferrari sulla igiene mentale ed altri documenti, Milano, Idami, 1967

Pinuccia Soriano, Alcuni scritti di Giulio Cesare Ferrari sulla pedagogia e sulla rieducazione dei giovani anormali, Milano, Idami, 1968

Paola Zocchi, Giulio Cesare Ferrari, pagina web consultabile al sito dell’Aspi (Archivio storico della psicologia italiana)


DOCUMENTI:

Dal diario personale di Vittorina Lamieri
Una giornata all’istituto: orario delle lezioni
L’Istituto medico-pedagogico emiliano: Regolamento interno e Capitolato per il personale

 

NOTE

1. Cfr. G.C. Ferrari “Relazione all’Onorevole Comitato Direttivo della Associazione Emiliana per la protezione dei fanciulli deficienti, sulle condizioni dell’Istituto Medico-Pedagogico Emiliano. Resoconto morale, statistico e sanitario per l’anno 1903”, in 1.6 Deficienti. Istituto Medico Pedagogico di S. Giovanni in Persiceto. L’attività svolta da Ferrari all’Istituto medico-pedagogico emiliano fino al 1904 è documentata nelle carte d’archivio conservate presso l’Archivio Storico Provinciale di Bologna (Archivio della Associazione Emiliana per la protezione dei fanciulli deficienti).

2. V.P. Babini, La questione dei frenastenici. Alle origini della psicologia scientifica in Italia (1870-1910), Milano, Angeli, 1996

3. In G. Mucciarelli (a cura di), Giulio Cesare Ferrari nella storia della psicologia italiana, Bologna, Pitagora Editrice, 1984

4. Cfr. V. P. Babini, op. cit.

5. Ibidem

6. Ibidem

7. Cesare L. Musatti, “Giulio Cesare Ferrari”, in G. Mucciarelli (a cura di), Giulio Cesare Ferrari nella storia della psicologia italiana, Bologna, Pitagora Editrice, 1984

8. E. Medea, “Giulio Cesare Ferrari e la cultura del suo tempo”, Rivista di psicologia, fascicolo giubilare, anno L, fasc. IV, 1956, pp. 13-26

9. Cfr. il volume collettivo a cura di G. Mucciarelli, Giulio Cesare Ferrari nella storia della psicologia italiana, Bologna, Pitagora Editrice, 1984

10. Cfr. G.C. Ferrari, “L’assistenza dei fanciulli deficienti in Italia il suo passato e il suo presente”, Rivista sperimentale di freniatria, XXIX, fasc. I-II, 1903, pp. 316-323

11. Cfr. V. P. Babini, op. cit.

12. Ripubblicata in in Pinuccia Soriano, Gli scritti di Giulio Cesare Ferrari sulla igiene mentale ed altri documenti, Milano, Idami, 1967

13. V. P. Babini, op. cit.

14. Dal diario personale di Vittorina Lamieri.

15. Cfr. V.P. Babini, op. cit.

16. Informazioni tratte sempre dal diario personale di Vittorina Lamieri.