RISME Ricerca Idee Salute Mentale Emilia-Romagna

Attività espressive nel contesto attuale di Bologna e provincia

Il nostro contributo al progetto RISME prende le mosse dai materiali visivi prodotti nella “Scuola d’Arte” dell’Ospedale Psichiatrico "Francesco Roncati" per focalizzare l’attenzione sulle attività espressive che vengono svolte attualmente nel territorio di Bologna e provincia.

Del resto l’atelieristica specializzata ha una tradizione in Italia che tocca Bologna ma riguarda anche altri centri che vanno considerati come esperienze pionieristiche: la “Scuola di disegno” dell’Ospedale "San Lazzaro" di Reggio Emilia, operativa già dall’ultimo decennio dell’Ottocento, il laboratorio condotto da Germano Sartelli presso il "Luigi Lolli" di Imola, l’atelier gestito da Michel Noble che apre nel 1957 presso l’Ospedale Psichiatrico "San Giacomo alla Tomba" di Verona, “La Tinaia”, inaugurata a Firenze presso l’Ospedale Neuropsichiatrico "Vincenzo Chiarugi" nel 1964 1.

Proprio a Bologna, un anno prima, nel 1963, si parla già di molte di queste esperienze. In occasione del II colloquio internazionale di Psicopatologia dell’espressione gli psichiatri dell’epoca, vicini alle posizioni di Robert Volmat, si incontrarono per illustrare gli studi svolti su opere di pazienti che disegnavano spontaneamente ma che altrettanto spesso erano operativi in atelier disseminati sul territorio italiano ed estero. Citati i laboratori di Imola e di Verona, ma riferimenti si trovano anche, per esempio, alla realtà di Torino, dove esisteva “un atelier a libera partecipazione e con libera scelta di tecnica espressiva”2.

Dieci anni dopo, nel 1973, a Trieste, con la nascita del laboratorio “P” del San Giovanni non solo viene aperto il corso che porterà alla riforma psichiatrica ma anche annunciata una nuova stagione per gli atelier creativi. Trasformati in presidi territoriali, i laboratori che spuntano successivamente, negli anni ottanta del secolo scorso, hanno una fisionomia nettamente diversa rispetto a quelli sorti all’interno dei manicomi. Cambiano spesso gli spazi ma cambiano anche i modi e le finalità nella conduzione; trasformazioni che rispecchiano un programma ma che sono determinate anche da nuove esigenze organizzative e di gestione.

In questo contesto, subentrando a pratiche ormai storicizzate, tutta una serie di realtà laboratoriali particolarmente sensibili al discorso artistico vengono avviate a partire dagli anni novanta. L’atelier “Manolibera” di Carpi, “Blu cammello” a Livorno, “Adriano e Michele” a san Colombano al Lambro, “La manica lunga - Officina creativa” a Sospiro sono tra le più consolidate, e da tempo le più conosciute, anche perché il discorso sull’outsider art e tutta una rete di specialisti, studi, organismi, eventi espositivi, ha contribuito e continua tuttora a valorizzarle 3.

Premesse alla ricerca

Per quanto riguarda nello specifico la mappatura del territorio bolognese, il nostro procedere ha previsto un moto di restringimento e uno di allargamento: da una parte limitando il campo d’indagine alle attività inerenti i linguaggi visivi 4, dall’altra evitando di distinguere tra le attività pensate per un’utenza con problemi psichici e quelle riservate a persone con disabilità psicofisiche 5.

La ricerca – che è proceduta avvalendosi del web, del contributo del Dipartimento di Salute Mentale e del ruolo altrettanto importante del passaparola6 – non indaga l’intreccio di situazioni che negli anni hanno portato le singole realtà considerate a diventare ciò che sono, ma a fotografarle ora, così come appaiono agli occhi di chi è esterno ai servizi dell’Azienda Usl e semmai ha più confidenza con l’outsider art e con la storia del riconoscimento di autori non professionisti, marginali, estranei alle intenzioni e ai luoghi consueti dell’esercizio artistico.

[Il panorama di Bologna e provincia ci è apparso costellato di molteplici situazioni, una realtà sommersa e vitale che opera con modalità, prospettive e tempi diversi e in cui l’unica costante è la modalità di partecipazione alle attività espressive. Dal momento che queste ultime sono inserite nei programmi di riabilitazione (i cosiddetti “Progetti educativi individualizzati”) comuni a pazienti con disturbi psichiatrici e a persone con disabilità psicofisiche, sono le strutture di afferenza, rispettivamente il Centro di Salute Mentale, i Servizi Sociali e gli istituti scolastici, che si occupano di indirizzare verso l’una o l’altra sede in cui si praticano attività di tipo espressivo. ]

Modelli d’intervento, spazi e altri fattori d’influenza

La molteplicità di elementi che interagiscono dando luogo a un’esperienza creativa in un ambiente protetto impedisce di formulare uno schema di funzionamento univoco. Certamente ci sono variabili molto concrete come i materiali e gli spazi a disposizione per creare, il tempo dedicato alle attività settimanalmente, i modelli d’intervento, ma determinante è anche la sensibilità artistica degli operatori, la rete di contatti stabiliti con l’esterno e altri elementi ancora.

Dalla nostra ricognizione, gli spazi per svolgere le attività espressive si presentano diversi già in partenza. Accanto ad ambienti equipaggiati a tutti gli effetti come laboratori creativi, ci sono sale utilizzate solo temporaneamente, ritagliate da un ambiente comunitario di un centro diurno o residenziale; e ai fini della produzione l’organizzazione e capienza del contesto laboratoriale non è meno importante dello stile di conduzione e della disponibilità degli utenti.

Dal punto di vista dei metodi, delle idee, delle scelte che muovono a un certo tipo di programmazione delle attività, il quadro si presenta di nuovo eterogeneo, inaspettatamente non distante, per molti versi, dalle esperienze laboratoriali che hanno contribuito alla storia dell’atelierismo in Italia, dove, per quanto riguarda gli obiettivi, oltre che le circostanze che ne hanno determinato la nascita, si riscontra una sostanziale disomogeneità 7.

Ci sono infatti attività che vengono svolte in base a un apparato di riferimenti teorici precisi, con una prassi altrettanto codificata, come si osserva, per esempio, negli interventi condotti dagli operatori di Art Therapy Italia (vedi scheda Martin Pescatore - Casalecchio di R.). Nel caso di altre iniziative la dimensione terapeutica è intesa in senso lato, come consolidamento e accrescimento di funzioni cognitive, come opportunità di espressione e come scambio relazionale, ma anche come occasione di valorizzazione individuale e potenziamento dell’autonomia. Che il lavoro in atelier possa preparare al lavoro, offrendo un modello di condotta professionale, è un altro presupposto ampiamente interiorizzato, fino all’esempio emblematico offerto dalla Cooperativa sociale Arcobaleno di Bentivoglio, dove gli utenti hanno l’opportunità di venire istruiti per diventare, nel tempo, a loro volta formatori artistici.

In altri casi ancora l’obiettivo principale che viene dichiarato non è la terapia. Si tratta di attività laboratoriali impostate secondo un modello in cui l’elemento artistico va inteso, come sottolinea anche Daniela Rosi, responsabile delle attività culturali del Centro di Riabilitazione Neurologica "Franca Martini" di Trento, “non come mezzo ma come fine” 8. Quando non condotte direttamente da operatori con una formazione artistica, tali esperienze, non di rado, sono alimentate da educatori disposti a mobilitare competenze e risorse extraprofessionali. Chiamati a interagire e rispondere alle proposte ovviamente ci sono gli utenti, i quali, con le loro peculiarità – l’inclinazione e l’interesse più o meno spiccati alle attività espressive per esempio, oppure i diversi tempi e manualità – condizionano e orientano l’esito delle iniziative. Considerata l’eccezionalità, sia fuori sia dentro le strutture protette, dell’essere artista, non ci si aspetta che tutti gli utenti lo diventino ma un lavoro mirato, di incoraggiamento e sostegno prima e di promozione poi, viene svolto quando l’approdo a un linguaggio individuale promette di evolversi verso forme compiutamente artistiche 9.

Produzioni

Dato per scontato che il processo creativo sia un momento cardine in questo tipo di attività, l’immagine o il manufatto prodotto risulta altrettanto importante, ai fini della gratificazione dell’autore, della sua esigenza di espressione, della sua possibilità di simbolizzazione. Si tratta sempre e comunque di una produzione visiva di natura relazionale, non soltanto nei casi in cui un intervento esterno, grafico o pittorico, viene contemplato, ma anche nei contesti laboratoriali che, più vicini al modello a “conduzione artistica”, mirano a garantire un’autonomia creativa agli utenti. È ciò che sottolinea per esempio Anne-Françoise Rouche, direttrice del Centre d’Expression e de Créativité "La Hesse" di Vielsalm, in Belgio: “il laboratorio, l’ambiente, lo stato d’animo, l’energia, questi elementi rendono l’opera diversa da quella che l’autore avrebbe realizzato in solitudine” 10.

Gli oggetti possono essere spesso realizzati a partire dai materiali di scarto della struttura stessa, destinati, come nel caso delle attività espressive svolte all’interno del Centro “Selleri Battaglia” di Aias – prevalentemente ad un uso interno e all’allestimento degli spazi della struttura in occasione di feste ed eventi speciali. La formula che prevale infatti oggi nelle realtà che coinvolgono persone con abilità residue è quella di un lavoro a tutti gli effetti collettivo, a cui ciascuno può collaborare sotto la guida degli operatori. Una modalità di creazione analoga, “a più mani”, che coinvolge operatori e utenti rendendo difficile distinguere l’intervento dell’uno o dell’altro, caratterizza anche le attività di “Dire/Fare” e si ritrova nell’atelier “Principio Emilio” di Aias, dove i manufatti – specie gli strumenti musicali e i premi in cartapesta realizzati per l’annuale “Festival della zuppa”– rispondono all’idea di una creatività libera, non autoriale e fruibile socialmente. Rivolto come i precedenti all’assistenza di persone con disabilità psicofisiche, nel Centro Diurno gestito dall’associazione A.L.I.S.E. Onlus si realizzano piccoli lavori espressivi ma anche creazioni artigianali destinate a trovare posto all’interno di più ampie mostre-mercato 11.

Artigianato e vendita

Che risponda a strategie di autofinanziamento, di integrazione o di promozione di una cultura della diversità, la volontà di dialogare con il mondo esterno impronta infatti la maggior parte delle attività espressive presenti sul territorio, materializzandosi spesso nella realizzazione di manufatti, piuttosto stereotipati in alcuni casi, più originali in altri, messi in vendita a cadenza periodica, attraverso mercatini allestiti per le feste di quartiere o le ricorrenze del centro di riferimento.

Altre volte ancora, quando le attività sono maggiormente strutturate, la produzione rimane di tipo artigianale ma si lavora su commissione di privati, oppure appoggiandosi a uno spazio stabile di vendita. Accade presso il Centro artigianale “Colunga” della Cooperativa Casa santa Chiara, in cui la produzione, icone religiose, è incentrata su una formula ripetuta in cui a variare sono i soggetti sacri raffigurati, ma anche all’interno del laboratorio della Cooperativa Arti e Mestieri, e dell’atelier “Talita Kum” della Cooperativa Cim, dove – in entrambi i casi – lo standard di qualità dei manufatti è alto, la lavorazione accurata, che siano bomboniere, oggetti d’uso o di arredo.

A fare da spartiacque, condividendo con le precedenti realtà il gusto per una produzione d’uso ricercata, che non di rado attinge a motivi originali messi a punto da singoli autori dell’atelier, muovendosi, allo stesso tempo, verso una sperimentazione di matrice più dichiaratamente artistica, è per esempio l’atelier “Il Maggiociondolo”. E non troppo diversa da quest’ultima appare l’attività svolta presso la Cooperativa Arcobaleno di Bentivoglio, dove l’eterogeneità dei percorsi espressivi e dei risultati ottenuti dai frequentatori del laboratorio viene compensata da un’attenzione costante per la destinazione d’uso dell’oggetto o per il suo valore in quanto complemento d’arredo.

Creazioni artistiche

Una tendenza piuttosto significativa che caratterizza il panorama odierno dell’atelieristica in Europa è collegata all’imporsi dei cosiddetti progressive art studios, realtà protette che respingono in maniera decisa l’idea di terapia per presentarsi come spazi che ambiscono a produrre arte con una basilare convinzione, sintetizzata nel motto “mira alla terapia e non otterrai arte, mira all’arte e avrai la terapia” 12.

Il fenomeno si accompagna alla partecipazione di autori operativi negli atelier a collettive che assemblano outsider art e arte “ufficiale” o a eventi strettamente riservati all’atelieristica specializzata come l’Exhibition #4 allestita negli spazi dei grandi magazzini Selfridges a Londra nel 2011, per iniziativa del Museum of Everything, oppure il biennale 2X2 Forum che si svolge presso Kunsthaus Kannen di Münster, offrendo un’occasione agli operatori dei laboratori creativi europei per presentare i lavori dei propri utenti e confrontarsi con colleghi e produzioni di strutture analoghe.

Piuttosto rare ma presenti anche sul territorio di Bologna e provincia le attività laboratoriali che potrebbero dirsi legate a un’ “impostazione artistica”, perché caratterizzate da un interesse esplicito da parte dei conduttori per la dimensione e qualità estetica dei lavori prodotti, o perché informati sul fenomeno dell’outsider art e desiderosi di valorizzare i propri autori, quando talentuosi, iin questo senso.

Così accade, per esempio, nel caso dell’atelier “Marakanda” della Cooperativa Open Group che ha sede a Borgonuovo di Sasso Marconi (guarda il VIDEO) e nel laboratorio espressivo del Centro Diurno "Lolli" di Imola.

Come alternativa all’esperienza atelieristica orientata verso un esito artistico ci sono poi le iniziative che vedono coinvolti artisti professionisti. Il coinvolgimento può avvenire a vari livelli e non soltanto attraverso la partecipazione diretta di un esterno alle attività.

Diversi anni fa, esattamente nel 1996, presso il Centro Diurno “Tasso” per esempio Pierpaolo Campanini ideò un progetto coinvolgendo una serie di artisti tra i quali Cuoghi e Corsello, Eva Marisaldi, Alessandro Pessoli. L’idea di un lavoro svolto collettivamente ma in differita e aperto all’aleatorio si concretizzò in una serie di cartoline che presentavano, ciascuna, l’intervento grafico o pittorico di un utente del Centro, seguito da quello di un artista, oppure, viceversa, quello iniziale di un artista e quello successivo di un utente.

Mentre nell’operazione promossa a suo tempo da Campanini è stata soprattutto una certa modalità controllata e individualistica di produzione estetica a venir messa in discussione 13, altre iniziative – implicanti la presenza di un artista che per un periodo lavora a stretto contatto degli utenti – sembrano piuttosto puntare sulla colonizzazione di spazi protetti e sulle opportunità che una formazione ed esperienze diverse da quella educativa e assistenziale possono offrire in termini creativi e relazionali.

Aperta attualmente a un dialogo con artisti professionisti esterni che vengono chiamati a collaborare e a realizzare progetti assieme agli utenti è l’attività del Centro “Rondine”, gestita dalla Cooperativa Sociale Società Dolce. Già due gli artisti che si sono avvicendati, singolarmente, nello svolgimento di un progetto pensato a partire dalla propria ricerca e poetica e rivolto al coinvolgimento di utenti già propensi all’espressione visiva 14.

Indipendenti

Infine la nostra ricognizione si è rivolta ad autori con formazione diversa, accumunati dal legame con il territorio e da un’esperienza di vita che li ha posti in relazione ai Servizi Psichiatrici. Si tratta di persone che hanno coltivato e coltivano la pratica artistica, specie la pittura, in modo autonomo, dando forma al proprio peculiare immaginario e linguaggio al di fuori del contesto laboratoriale, senza il ruolo di sostegno e incentivo assicurato dagli operatori. Di seguito le schede su due autori: Fly e Linda Hanson.

Continua con MAPPATURA DEI LABORATORI E DELLE ATTIVITA' CREATIVE NELLA PROVINCIA DI BOLOGNA.

Sara Ugolini, Marta Cannoni

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DIDASCALIE DELLE IMMAGINI:
1) Atelier di disegno dell’Ospedale Psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia
2) Strumenti musicali realizzati presso l’atelier “Principe Emilio”
3) Lampada prodotta nel laboratorio della Cooperativa “Arti e Mestieri”
4) Scorcio dell’area espositiva del Kunsthaus Kannen durante il Forum 2X2 (www.kunsthaus-kannen.de)
5) Roberto Mazzetti - Cuoghi e Corsello, cartolina del progetto “Punto e a capo”, 1996

NOTE

1 Sui laboratori di Imola e di Verona si sofferma in particolare Valeria Paola Babini nel libro Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento, il Mulino, Bologna 2009, p.166 e sgg.

2 S. Cibelli-F. Sabbatini, Alcune considerazioni sui rapporti fra quadro psicopatologico e produzioni figurative in schizofrenici, in G. Maccagnani (a cura di), Psicopatologia dell’espressione, atti del II colloquio internazionale sull’espressione plastica, Bologna 3-5 maggio 1963, Galeati, Imola 1966, p. 277. I contributi raccolti testimoniavano l’esistenza di diverse esperienze laboratoriali anche all’estero. Per esempio presso i Servizi neuropsichiatrici di Costantine, ad Algeri, in cui risultava essere allestito un atelier di disegno, e a Varsavia, dove, all’interno dell’Istituto psichiatrico e neurologico, si organizzano sedute di pittura “[…] condotte da un artista-pittore, [che] sono parte di una terapia occupazionale, non orientata a fini diagnostici né a una precisa psicoterapia (B. Jonscher-T. Kolakowska, Évolution d’expression plastique chez les malades schizophrènes et depressifs au cours de la pharmacothérapie, in Ivi, p.86).

3 Di queste realtà e dei principali autori emersi in esse si fa riferimento nel catalogo a cura di B. Tosatti, Outsider Art in Italia. Arte Irregolare dei luoghi della cura, Skira, Milano 2003.

4 Sull’attività teatrale, la cui particolare vitalità nel territorio si deve alla collaborazione tra l’Associazione Arte e Salute onlus e il Dipartimento di Salute Mentale, si segnala il recente volume collettaneo a cura di C. Migani e M.F. Valli, Il teatro illimitato. Progetti di cultura e salute mentale, Negretto Editore, Mantova 2012.

5 La frequenza di una doppia diagnosi, che vede il disturbo psichiatrico innestarsi su una precedente condizione di disabilità, rendendo talvolta difficile ricondurre un utente all’uno o all’altro ambito, ha contribuito a questa scelta. Quella di assemblare laboratori per utenti con disagio psichico e strutture per utenti con problemi psicofisici del resto è un’abitudine frequente negli studi specialistici sull’outsider art relativi all’atelieristica. Dalla ricerca sono invece state escluse le realtà laboratoriali che pur realizzando una produzione interessante, come quella collegata alla comunità santa Maria della Venenta di Argelato, sono rivolte a un’utenza estranea al nostro campo di indagine.

6 Un sentito ringraziamento va a questo proposito agli operatori incontrati. Per la disponibilità dimostrata ringraziamo inoltre Pierpaolo Campanini, Monica Cuoghi e Cane Cotto.

7 È quanto sostengo nel testo L’arte al di là della terapia. Appunti sui laboratori creativi, in S. Ferrari, C. Principale, C. Tartarini (a cura di), Arte e Arti terapie. Più di un confronto, più di un dialogo (Atti del Convegno svolto a Bologna il 25-26 maggio 2012, in “Quaderni di Psicoart” n.2 (http://amsacta.unibo.it/3394/1/Arti_terapie_-__Ugolini.pdf), pp. 3-4.

8 D. Rosi, L’arte non come mezzo ma come fine, in S. Ferrari, C. Principale, C. Tartarini (a cura di), Arte e Arti terapie. Più di un confronto, più di un dialogo (Atti del Convegno svolto a Bologna il 25-26 maggio 2012), in “Quaderni di Psicoart” n.2, consultabile on-line all’indirizzo: http://amsacta.unibo.it/3416/1/Rosi.pdf

9 Una descrizione efficace dell’attività di promozione che viene svolta negli atelier a conduzione artistica è offerta da Teresa Maranzano: “L’atelier funge da membrano protettiva, garantendo ai pazienti una corretta informazione e un coinvolgimento quanto più possibile diretto nel destino delle loro promozioni, svolgendo per loro conto un lavoro di contatti e contrattazioni che da sempre rappresenta per ogni artista motivo di angoscia e di avvilimento” (T. Maranzano, “Adriano e Michele”. L’atelier di pittura di un istituto di riabilitazione psichiatrica e la promozione artistica delle opere dei suoi pazienti, in A. Nardi (a cura di), L’identità imprigionata. Tra patologie e atti creativi, UNI Service, Trento 2006, p. 232).

10 Intervista di James Brett ad Anne-Françoise Rouche, in Appendix of Everything, appendice al catalogo della mostra #4, Museum of Everything 2011, xxvii.

11 La mostra-mercato in questione, che si svolge da diversi anni all’interno del centro commerciale Vialarga di Bologna ed è intitolata “L’altro Pianeta”, ha previsto, oltre alla partecipazione del laboratorio di A.L.I.S.E., quella di altre associazioni ed enti che operano in città nell’ambito della disabilità e del disagio psichico.

12 Dichiarazione della fondatrice dell’atelier “Personimages” di Parigi, Denise Merle d’Aubigné, citata nel testo di C. Berst, Art Brut and its Market: Pricing the Unpriceable, all’interno del volume 2x2 FORUM FOR OUTSIDER ART. A documentary about the art fair, lectures, discussions and workshops in October 2009/2011 in Muenster, 2012, p.134.

13 Nel catalogo dell’iniziativa, Punto e a capo, si legge: “La creatività libera “non professionale” da una parte e la conoscenza del sistema dell’arte e delle sue tecniche dall’altra convergono e generano una serie di piccole opere fluide e ricche di sorpresa”.

14 L’iniziativa rammenta operazioni, in particolare Acrobazie, ideata da Elisa Fulco per l’atelier di pittura “Adriano e Michele” del Centro di riabilitazione psichiatrica del Fatebenefratelli di san Colombano al Lambro. Sandrine Nicoletta, Marcello Maloberti, Sara Rossi, Francesco Simeti, Flavio Favelli sono gli autori che singolarmente, per la durata di un anno a partire dal 2004, hanno sviluppato un tema lavorando assieme a un gruppo di pazienti che anche in questo caso possedevano già in partenza un linguaggio espressivo personale e in aggiunta un percorso avviato di valorizzazione nel circuito espositivo.