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Il Fondo conservato dall’Istituzione Gian Franco Minguzzi

Origine e percorsi di una collezione *

Il Fondo dell’Istituzione Gian Franco Minguzzi di Bologna conserva documenti visivi eterogenei dal punto di vista del linguaggio espressivo, della cronologia e della provenienza. Si tratta di opere di grafica e pittura ma anche di ceramiche, terrecotte e assemblages che sono stati realizzati all’interno della “Scuola d’Arte” dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale “Francesco Roncati” e in parte provenienti dal laboratorio espressivo attivo presso l’Ospedale Psichiatrico “Luigi Lolli” di Imola.

I motivi della presenza a Bologna dei materiali imolesi sono stati individuati di recente, respingendo l’ipotesi che il trasferimento fosse avvenuto in concomitanza con la nascita del Centro di Studio e di Documentazione "Gian Franco Minguzzi", il quale mirava a concentrare in un’unica sede il patrimonio delle istituzioni manicomiali di tutta l’area bolognese. In realtà è stato un evento espositivo, l’allestimento della mostra Fra muri di gomma, ad aver stimolato la raccolta di opere fuori dalla città, materiali rimasti poi in giacenza presso l’Istituzione Minguzzi 2.

L’atelier del "Luigi Lolli"

Due sono gli autori del Fondo provenienti dal laboratorio espressivo dell’Ospedale Psichiatrico “Luigi Lolli” di Imola. L’atelier, che aprì le porte nel 1952 e fu il primo della provincia di Bologna, era condotto dall’artista Germano Sartelli, la cui moglie, Graziana Albonetti, al tempo lavorava già all’interno della struttura 3. L’entrata in organico presso il Lolli dello psichiatra Gastone Maccagnani e il suo interesse per la teoria della Psicopatologia dell’espressione contribuirono, negli anni successivi, a garantire la vivacità del laboratorio. A partire da Robert Volmat, decano della disciplina e autore del celebre volume l’Art psychopathologique (1956), la Psicopatologia dell’espressione si era infatti diffusa trovando anche sul territorio italiano, a Imola, oltre che a Verona, la sua terra d’elezione. La Teoria richiedeva di considerare le opere prodotte dai pazienti come una modalità di comunicazione non verbale, un linguaggio psicopatologico composto di segni grafici utili a indagare la struttura dei sintomi. Tutte le espressioni grafiche, dalla forme elementari a quelle più complesse, venivano dunque analizzate e ricondotte talvolta a un tentativo del paziente di ripresa del contatto con se stesso e con gli altri.

Se l’importanza dei materiali visivi ai fini dell’indagine rendeva la loro attenta conservazione un dato caratterizzante l’attività del laboratorio imolese, oggi la maggior parte delle opere sono disperse o incluse in collezioni private. A loro testimonianza rimangono le riproduzioni fotografiche incluse nelle diverse pubblicazioni sulla Psicopatologia dell’espressione firmate da Gastone Maccagnani e Jean Bobon.

"Scuola d’Arte Roncati"

Più di dieci anni dopo l’avvio dell’atelier imolese fu inaugurata formalmente l’esperienza del laboratorio creativo del "Roncati". Nel 1964 infatti Oliviero Bovi ricevette l’incarico di insegnare disegno e pittura presso l’Istituto Psichiatrico di Bologna.

Bovi, che aveva una formazione artistica accademica, era stato ricoverato per un breve periodo all’interno dell’Ospedale. Dopo la sua dimissione fu contattato dagli psichiatri Gino Zucchini, Glauco Carloni e Alberto Spadoni, i quali, forti dell’esperienza imolese, fin dal loro arrivo, nei primi anni sessanta, avevano caldeggiato l’apertura di un laboratorio artistico anche nella sede dell’Ospedale bolognese. Quando Bovi venne nominato dall’amministrazione provinciale “monitore” della scuola di pittura scultura e modellazione del Roncati, le attività creative si svolgevano in una stanza situata all’interno della struttura ospedaliera, nel Reparto 1 (Osservazione Uomini), lo spazio tuttavia era già stato adibito in precedenza a studio di pittura e messo a disposizione dei degenti che avessero avuto lo stimolo a dipingere.

Animato in principio da un generico intento terapeutico, l’orientamento della conduzione di Bovi si distinse per un approccio iniziale agli utenti di tipo didattico4. Nel suo metodo era contemplato anche l’esercizio di copiatura di opere celebri, perché funzionale all’apprendimento dei rudimenti della tecnica pittorica e alla formazione di una cultura artistica.

Con il passare del tempo, già alla fine degli anni sessanta, – dal momento che l’atelier non era frequentato solo da degenti, ma anche da individui che erano stati dimessi dall’Ospedale –, l’affluenza aumentò e nel 1969 fu allestita nei corridoi dell’edificio ospedaliero la prima mostra in cui venne esposta una selezione dei lavori prodotti fino a quel momento.

Il 1971 è, su più fronti, un anno significativo per l’evoluzione della Scuola d’Arte: i laboratori per lo svolgimento delle attività artistiche furono trasferiti in una sede più ampia, nei locali di due appartamenti situati nel cortile di fronte all’Istituto e si delineò anche il progetto di istituire un appuntamento biennale durante il quale esporre le creazioni realizzate dai degenti ed ex-degenti dell’Ospedale Psichiatrico. Tale proposta venne inoltrata formalmente alla Giunta Provinciale dall’allora direttore Guido Mengoli; una copia della comunicazione datata 7 dicembre 1971 presenta un regolamento allegato, da cui si evince che le occasioni espositive costituivano anche un mezzo per finanziare le attività della scuola d’Arte, le opere infatti erano in vendita, il ricavato era assegnato direttamente agli autori, ad eccezione dei proventi derivati dai lavori del maestro Bovi, che venivano accantonati in un fondo speciale destinato all’acquisto di materiali e attrezzature per la Scuola.

Parte della documentazione, purtroppo piuttosto frammentaria, ritrovata nell’archivio dell’Istituzione Minguzzi, attesta che gli appuntamenti biennali si declinarono in tre mostre allestite nella Galleria di Palazzo d’Accursio (sede dell’amministrazione comunale di Bologna), rispettivamente nel dicembre 1973, nel dicembre 1975 e tra dicembre 1977 e gennaio 1978.

Durante gli anni settanta le attività della Scuola d’Arte proseguirono a pieno ritmo e, a partire dall’autunno del 1976, si ampliarono grazie all’introduzione di un laboratorio di pittura su tessuto gestito da Elena Galli, che, insieme all’obiettore di coscienza Alberto Placci si rese disponibile per mantenere gli ambienti della scuola aperti anche nelle ore pomeridiane.

La conduzione di Gildo Monaco

Nei primi anni ottanta, dopo l’entrata in carica di Ferruccio Giacanelli come direttore dell’Ospedale, la gestione dell’atelier passò a Gildo Monaco, un infermiere operativo presso il "Roncati" dal 1974 e con una formazione artistica alle spalle. Risalgono al periodo della sua conduzione la maggior parte dei lavori attualmente conservati presso il Fondo: opere di autori singoli ma anche creazioni tridimensionali, dal contenuto prevalentemente fantastico, realizzate a più mani con materiali di recupero. È Monaco stesso a raccontare che il suo metodo consisteva nello stimolare gli utenti a “illustrare le proprie allucinazioni” 5.

Eventi espositivi tra gli anni ottanta e oggi

Nella cornice della Sala dei Trecento di Palazzo Re Enzo si svolse nel dicembre del 1981, in piena riforma psichiatrica, la mostra I segni dell’emancipazione. L’intento non fu solo quello di esporre i prodotti dell’attività espressiva dei pazienti che frequentavano la Scuola, ma si configurò come un’occasione per far luce sulla tematica del reinserimento dei degenti psichiatrici nella comunità locale. A un processo di emancipazione dei pazienti dalla condizione asilare, si legge, le attività espressive potevano contribuire infatti agendo “come riconquista della dimensione delle forme e degli oggetti che fanno parte del patrimonio collettivo, come apertura alla comunicazione con gli altri” 6.

Nel 1984, il rinnovo della consueta collaborazione tra gli organi della provincia di Bologna e il personale di quella che, all’epoca, aveva assunto la denominazione di Area Funzionale Psichiatrica, diedero vita alla seconda edizione, sempre a Palazzo Re Enzo, de I segni dell’emancipazione. In mostra alcuni autori della "Scuola d’Arte" – più di uno assente dalla raccolta attuale, – assieme al loro conduttore, Gildo Monaco. La curatrice, Maria Virginia Cardi sosteneva nelle pagine del catalogo di aderire a un’ottica “che si avvale di strumenti prevalentemente teorico-estetici”7 e pur non rifiutando la nozione di “Arte psicopatologica” si avventurava nell’indagare i punti di tangenza tra le opere degli autori della Scuola d’arte e le ricerche artistiche contemporanee8.

Meno orientate, rispetto a I segni dell’emancipazione, verso una, per quanto problematica, contestualizzazione artistica dei materiali visivi, e interessate piuttosto al valore documentario e di testimonianza individuale offerto da questi ultimi9, le due retrospettive che vennero organizzate nel decennio successivo. La prima, Fra muri di gomma, che risale al 1990 e venne allestita all’interno del complesso del "Roncati", raccoglieva una serie di opere della "Scuola d’Arte" del "Roncati", scritti dei pazienti del Lolli di Imola, ma anche materiali provenienti dalla collezione dell’Ospedale Psichiatrico "San Lazzaro" di Reggio Emilia.

Come scrive la curatrice Osvalda Clorari nel testo introduttivo al catalogo, a rientrare nella selezione delle opere esposte, i lavori “che apparivano più spontanei, meno condizionati da influssi scolastici, maggiormente rivelatori di una situazione, di una condizione, di una sensibilità, di un pensiero. Un criterio che potremmo dire “antropologico […]”10.

La seconda, I destini della Crisalide, si inseriva nel più articolato progetto “Crisalide”, un’iniziativa composta di azioni di formazione e iniziative espositive itineranti tesa a favorire l’integrazione sociale dei pazienti psichici. La mostra ebbe luogo a San Giovanni in Persiceto tra la fine del 1999 e i primi del 2000 e coinvolse due sedi: la chiesa di Sant’Apollinare con l’allestimento scenografico di Gino Pellegrini, un’allegoria della follia, e la sala espositiva di Palazzo SS Salvatore. All’interno di quest’ultima, raccontava Cinzia Migani, “le tracce che hanno lasciato le persone ricoverate all’interno delle istituzioni manicomiali”11. Assieme a diverse opere della “Scuola d’Arte” del "Roncati", visibili al pubblico erano disegni, paesaggi dipinti su porte ma anche scritti, diari e lettere, di autori anonimi, provenienti da strutture psichiatriche diverse. Infine i disegni di bambini delle scuole materne ed elementari ispirati al tema della crisalide, a fare da cerniera tra il passato manicomiale evocato dai materiali esposti e un futuro all’insegna della trasformazione.

Ultima in ordine cronologico Quadri fuori quadro, una mostra che si è svolta tra ottobre e novembre 2011 presso l’Oratorio di santa Maria della Vita a Bologna 12 e che ha accolto, assieme a un’ampia selezione dei lavori conservati nel Fondo Minguzzi, produzioni creative di individui in carico oggi ai Servizi psichiatrici del territorio. Involontariamente Quadro fuori quadro ha suggerito anche un nuovo possibile obiettivo all’Istituzione Minguzzi: accrescere il Fondo puntando all’acquisizione di nuove opere, realizzate da autori singoli o provenienti dalle molteplici realtà dedicate alle attività espressive che si sono diffuse sul territorio dopo la riforma psichiatrica.

Un corpus di questo tipo potrebbe rispondere a finalità correlate, contrastando prima di tutto la dispersione, facendosi tramite di una conoscenza delle specificità dei diversi contesti in cui le opere hanno avuto origine, e sollecitando, come ci si augura, anche un interesse e una fruizione estetica.

Le schede monografiche che seguono rappresentano la fase conclusiva dell’attività di un gruppo di ricerca, coordinato da Sara Ugolini, che ha coinvolto Marta Cannoni, Chiara Delledonne, Chiara Mazzoli e Alessandro Simonini dal 2009 al 2011.

Il lavoro di riordino, studio e messa in mostra dei materiali del Fondo dell’Istituzione Gian Franco Minguzzi si congiunge idealmente alle iniziative di valorizzazione che oggi numerose istituzioni europee, si veda il caso recente del Bethlem Hospital di Londra, svolgono attraverso la riorganizzazione degli archivi, la progettazione di aree espositive permanenti, il prestito delle opere al fine di promuovere la conoscenza di queste collezioni presso un pubblico sempre più ampio.


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NOTE

*  Cogliamo l’occasione per ringraziare, per la particolare disponibilità e le utili informazioni fornite, Osvalda Clorari, Cinzia Migani, Gildo Monaco, Gino Pellegrini, Claudio Spadoni, Gino Zucchini.

2  I due imolesi sono infatti citati, assieme agli autori attivi nella "Scuola d'Arte" del "Roncat"i, nel catalogo della suddetta, che ha avuto luogo nel 1990: Fra muri di gomma. Attività espressive nei servizi di salute mentale: le forme possibili di fare psichiatria (Il Torchio, San Giovanni in Persiceto 1990). Di un autore in particolare la curatrice, Osvalda Clorari, ricorda che Sartelli fu il maestro che lo seguì a Imola e che ne ha conservato la produzione.

3  V. P. Babini, Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento, il Mulino, Bologna 2009, p.166.

4  È quanto sottolinea il critico ricorda Roberto Vitali nel catalogo di una mostra organizzata a Palazzo d’Accursio nel dicembre 1975. In un articolo dell’edizione bolognese de “L’Avanti” del 21 settembre 1972 Romeo Forni riporta in terza persona le dichiarazioni di Bovi: “[Egli] lascia sempre piena libertà all’immaginazione, correggendo gli errori tecnici, cercando di dare consigli su ogni singolo lavoro”.

5  Estratto di un’intervista inedita a Gildo Monaco che si è svolta presso l’Istituzione G.F. Minguzzi il 9 luglio 2009.

6  Stralcio del documento approvato dalla Giunta Provinciale relativo alla mostra I segni dell’emancipazione, allestita nel dicembre 1981 presso la Sala dei Trecento di Palazzo Re Enzo.

7  M. Virginia Cardi, I segni dell’emancipazione, in I segni dell'emancipazione, catalogo della mostra allestita presso Palazzo Re Enzo, Sala dei Trecento, 15-30 giugno 1984, pagine non numerate.

8  Operazione, quest’ultima, che Cardi ritiene legittima dal momento che nell’arte del Novecento “il ruolo dell’immagine è andato progressivamente mutando […]”, ponendosi “come prolungamento dell’esistenza stessa, proiezione di stati d’animo, momento in cui si stabilisce un contatto sensibile, affettivo con il mondo”.

9  È un elemento che ha sottolineato di recente anche l’antropologo Gianluigi Mangiapane, riferendosi alla collezione di Art Brut del Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università degli Studi di Torino: “I manufatti possono essere considerati molto banali o vere e proprie manifestazioni artistiche, ma in entrambi i casi possono essere l’unica testimonianza, seppur indiretta, della vita di persone dimenticate” (G. Mangiapane, Il disagio nelle collezioni di Art Brut del Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino, in G. Mangiapane, A.M. Pecci, V. Porcellana, (a cura di), Arte dei margini. Collezioni di Art Brut, creatività relazionale, educazione alla differenza, FrancoAngeli, Milano 2013, p.54).

10  O. Clorari, Introduzione alla mostra, in Fra muri di gomma. Attività espressive nei servizi di salute mentale: le forme possibili di fare psichiatria, Il Torchio, San Giovanni in Persiceto 1990, p.17.

11  C. Migani, Crisalide: il progetto e i protagonisti, in C. Migani, M. A. Nicoli (a cura di), Il prato d'erba e la mia pelle, Il Torchio, San Giovanni in Persiceto 2000, p.16.

12  La mostra è stata realizzata nell’ambito della rassegna "Restituzioni: la salute mentale incontra la città" organizzata dall'AUSL di Bologna.